Venerdì l’Amministrazione americana ha accusato formalmente il governo russo di aver divulgato messaggi di posta elettronica precedentemente sottratti tramite attacchi di hacker al Comitato nazionale del Partito Democratico e da una serie di personaggi e istituzioni pubbliche — una cosa del genere non è mai successa nemmeno durante la Guerra Fredda. Si tratta dell’apice, formale, di una fase di tensione che sta accompagnando i rapporti tra i due Paesi, con un’impennata legata alla crisi di Aleppo e la conseguente sospensione dei colloqui per la pacificazione del conflitto civile siriano e che si protrae su altri fronti; per esempio in Europa del Nord, sempre venerdì l’Estonia ha denunciato lo spostamento di unità missilistiche a capacità nucleare all’interno dell’enclave militare russo di Kaliningrad e in un quadro analogo, lo spostamento per deterrenza di corpi militari svedesi verso l’isola di Gotland, nel Baltico (il collegamento sta nel contesto Russia-Usa, declinazione Nato, di cui Svezia e Estonia fanno parte).
Non ci sono commenti diretti della Casa Bianca per il momento, ma l’accusa ha comunque preso la via ufficiale in quanto contenuta in una dichiarazione congiunta del direttore della National Intelligence, James Clapper, e del dipartimento della Homeland Security. Due dei massimi organi del governo in materia di sicurezza sostengono che rendere pubbliche quelle email sottratte illegalmente ha avuto come scopo “interferire con il processo di elezione degli Stati Uniti” (le e-mail sono state pubblicate su Wikileaks e in altri siti creati appositamente, come DCLeaks.com).
MORE: U.S. names Russia as the actor behind hacking attempts on political groups. Statement here: https://t.co/xBtYQA9DJ5 pic.twitter.com/91EtXL4kFY
— Reuters Top News (@Reuters) 7 ottobre 2016
Sulla base della tecnica e della portata dell’attacco, “crediamo che sia stato autorizzato dal governo russo”, dice la nota, facendo riferimento esplicito ai gruppi hacker con capacità molto avanzate che sarebbero sul libro paga dei servizi segreti russi. Su questi era da subito ricaduto il sospetto, dopo che diverse società private americane avevano analizzato i dati sull’hacking, ma è la prima volta che agenzie nazionali americane si espongono pubblicamente per ricollegare l’attacco a Mosca — sull’accusa manca solo il nome del presidente Vladimir Putin, ma “sembrava essere quella l’intenzione” fa notare il New York Times (venerdì era il compleanno di Putin).
Sono settimane, rivela il Nyt, che lo staff di Obama ha discusso una serie di possibili risposte all’azione Russia, da sanzioni economiche mirate fino ad autorizzare azioni segrete contro i server in Russia e altrove che sono stati tracciati come punto di origine degli attacchi. Per il momento la Casa Bianca non ha detto se Obama ha esaminato queste opzioni, e/o deciso quale usare.
Da Mosca il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha replicato alle accuse come “nonsense”: “Ogni giorno decine di migliaia di hacker cercano di attaccare il sito del presidente Putin, ma non è accusiamo la Casa Bianca o Langley ogni volta”. Nelle stesse ore Wikileaks ha pubblicato un ampio set di mail che riguardano comunicazioni confidenziali tra John Podesta, il capo della campagna elettorale di Hillary Clinton, e altre figure top di Hillary-2016 come Robby Mook e Brian Fallon. Le informazioni sono state probabilmente sottratte proprio durante gli attacchi hacker di cui Washington accusa Mosca, il passaggio di queste informazioni al sito di Julian Assange era già stato ricostruito in una precedente diffusione. Non c’è niente di sostanziale — ossia, non siamo a livelli del video pubblicato dal Washington Post in cui Trump si vanta di usare la sua celebrità per importunare donzelle —, ma sono conversazioni private che riguardano anche Hillary e dunque potrebbero essere elettoralmente imbarazzanti.
E sempre nello stesso giorno, Associated Press ha riportato la notizia che riguarda una riunione confidenziale avvenuta il 13 settembre al palazzo delle Nazioni Unite, durante la quale l’ambasciatore russo Vitaly Churkin avrebbe formalmente protesta contro le ingerenze contro Zeid Ra’ad al-Hussein, l’alto commissario Onu per i diritti umani, il quale in un paio di occasioni ha criticato l’appoggio russo, indiretto, a candidati populisti europei e a Donald Trump. Il Cremlino ha replicato di non aver nessuna posizioni in merito alle elezioni americane e che la sua linea ufficiale è di non interferire nelle questioni interne alle nazioni sovrane.