Sabato Charles Lister, ricercatore del Middle East Institute tra i massimi esperti del conflitto siriano, e con ottime entrature tra i paesi del Golfo – è stato visiting fellow del Brookings Doha Center – ha passato su Twitter delle informazioni riguardo nuovi invii di armi ai ribelli in Siria.
Le armi sarebbero arrivate in Siria attraverso la Mom Operation Room, una base logistica che si trova in Turchia (a cui aderiscono Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Turchia appunto), e passati in mano ad alcuni gruppi ribelli “vetted“, che è il termine con cui la Cia identifica le formazioni “certificate”, ossia quelle che non hanno inclinazioni verso le istanze jihadiste e islamiste radicali, ma sono moderate e nazionaliste. Secondo le informazioni di Lister oltre a armi di piccolo calibro e munizioni, oltre a colpi per mortai e Rpg, i ribelli hanno ricevuto anche dei nuovi missili Grad da 122mm di fabbricazione ceca e bulgara (come molte delle armi che si vedono in Siria). I Grad, o Bm-21 Grad (dove “Grad” significa “grandine”), sono missili superficie-superficie di epoca sovietica mandati in Siria con i sistemi MRL, ossia i lanciarazzi multipli che si montano sui pianali degli autocarri: hanno grande potenza e bassa precisione. Quella rivelata da Lister è un conferma autorevole per gli osservatori del conflitto siriano, che hanno registrato ultimamente l’aumento della presenza di questo genere di armi all’interno delle aree controllate dai ribelli: si parla di un “Grad-program” spesato e gestito dai partner regionali dell’America. All’inizio di ottobre si diceva di una spedizione da diverse decine di pezzi arrivata ad Hama, una città da 300 mila abitanti dove i governativi hanno praticamente ripreso il controllo. I combattenti di Arhar al Sham il 2 ottobre hanno rilasciato un video su Twitter in cui si vedono i lanci di questi missili contro posizioni governative; pochi giorni prima anche il Free Syrian Army (Fsa) ne aveva postato un altro da Aleppo. Per capire la complessità di quel che succede, Arhar al Sham è un gruppo molto vicino all’intelligence turca, anche se viene considerato piuttosto radicale: in questi giorni proprio a nord di Hama, verso Idlib, è stato protagonista di una battaglia fratricida con un’altra fazione combattente, Jund al Aqsa, che è accusata dagli altri di essere “un surrogato dello Stato islamico” (sarebbe lungo da spiegare, ma è una brutta offesa per un gruppo che nasce da al Qaeda, nemica ideologica dell’IS).
VIDEO: Ahrar al-Sham launch Grad missile barrage against government positions in Hama military airport. pic.twitter.com/z1Whj19eoi
— Conflict News (@Conflicts) 2 ottobre 2016
I Grad non dovrebbero essere un game changer, e non risolverebbero il principale gap tra opposizioni e governativi: la supremazia dei cieli – certo, a meno che un camion non riesca a portarsi abbastanza vicino ad una delle piste da cui decollano gli aerei siriani e russi e scaricare contro i velivoli in partenza o in arrivo una grandinata di razzi (ma è un circostanza complicata). Insieme a questi equipaggiamenti in Siria sarebbero arrivati anche alcuni Tow, che sono sistemi di razzi anticarro che invece nei mesi passati hanno bloccato l’avanzata dei governativi: questi sistemi sono abbastanze tecnologici e hanno due regole d’utilizzo imposte dai fornitori, la prima è un riconoscimento digitale (di impronte digitali) sul sistema di sparo, e l’altra è che i video dei lanci vengano messi in rete per garantire che tanti ne arrivano e tanti ne vengono sparati, ossia che nessuno si metta in testa di rivenderli o darli a qualche altro gruppo “non-vetted” (per questo è facile contarli, basta avere Youtube: per capirci, i lanci stanno tornando a salire, dunque si è riaperto il flusso che prima gli Stati Uniti avevano sordinato per lealtà – lealtà? – verso i negoziati con la Russia). In un circostanza simile a quella evocata poche righe sopra, il 24 novembre scorso una milizia affiliata all’Fsa ha colpito e distrutto con un Tow un elicottero russo impegnato nelle ricerche di uno dei piloti del Sukhoi abbattuto dai turchi. Stessa sorte è toccata i primi di agosto ad un altro elicottero russo a Idlib, ma sono sistemi anticarro e colpiscono i velivoli solo se si trovano al suolo.
Secondo le informazioni di Lister, che anche in questo caso conferma voci in circolazione da diversi giorni, ai ribelli sarebbero arrivati pure dei Manpads antiaerei, che rappresenterebbero una vera e propria arma di deterrenza.
I Manpads sono sistemi missilistici che possono essere sparati a spalla, sono molto maneggevoli e compatti, e possono colpire obiettivi in quota non troppo elevata, ma potrebbero essere dannosi per i caccia governativi (più per quelli siriani che per i sofisticati aerei russi). Dei Manpads non c’è traccia ufficiale, ma in Siria se ne sono visti apparire alcuni esemplari già in passato, a cominciare dai cinesi FN-6, inviati dal Qatar, via Sudan, ad alcuni gruppi amici nel 2013: uno di questi buttò a terra un elicottero Mi-8 siriano nei pressi della base di Menagh, ad Aleppo. Ma questo passaggio fu interrotto quando ci si accorse che alcuni erano finiti nelle mani dello Stato islamico, che li aveva sottratti agli altri ribelli (uno targato IS colpì un Mig-21 siriano nei pressi di Latakia, nel 2013). Sempre il Qatar si era occupato nello stesso anno di passare alcuni Sa-7 Strela alle opposizioni: si tratta di Manpads di epoca sovietica che Doha aveva preso dagli arsenali svuotati del rais libico Gheddafi e trasportato all’interno del conflitto siriano attraverso, e con la complicità, della Turchia – l’arte della guerra: Recep Tayyp Erdogan fa foto sorridenti con il suo omologo russo Vladimir Putin, mentre Ankara pensa di passare ai ribelli armi che potrebbero essere letali per i soldati russi, e Mosca dà sostegno militare e dilpomatico a Damasco, che vede nella Turchia un nemico regionale.
Ora la questione Mandpads è tornata in voga – in realtà è una costante del conflitto, che si ripropone come flebile minaccia ogni volta che i ribelli entrano in seria difficoltà (successe anche lo scorso anno), ma su tutto restano i dubbi degli Stati Uniti. A fine settembre c’è stata anche una riunione discreta, a Riad, tra funzionari americani e alleati regionali, per discutere della questione. Lunedì sempre da Riad è arrivata invece una richiesta formale. Salem al Meslet, il portavoce dell’High Negotiations Committee (HNC), un’entità diplomatica ombrello per diversi gruppi di opposizione, ha ufficialmente chiesto durante una riunione sulla Siria che si svolgeva nella capitale saudita che si provveda a togliere ai ribelli l’embargo sulle armi sofisticate, così che le nazioni amiche possano inviare ai gruppi combattenti i sistemi anti-aerei.
Ma resta il dubbio americano, che è sintetizzabile così: e se uno di questi Manpads, finito per le mille ragioni del conflitto in mano ai gruppi terroristici, fosse puntato contro un aereo di linea in fase di decollo o atterraggio? È un rischio concreto: nel 1979 gli Stati Uniti avevano dato via libera perché i sauditi finanziassero i mujaheddin afghani nella loro lotta anti-sovietica. Arrivarono anche Manpads: sabato i talebani – che stanno vivendo un nuovo periodo offensivo nel paese – hanno rivendicato l’abbattimento di un elicottero dell’esercito, alleato americano. Forse a colpire il velivolo è stato proprio uno dei tanti missili Stinger arrivati in Afghanistan durante la guerra contro l’ex Urss, quando la Cia iniziò a pensare di non fare abbastanza per sostenere i ribelli.
(Foto: Wikipedia, un mujaheddin afghano con uno Strela)