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Ecco cosa sta succedendo a Mosul

Nella notte tra domenica e Lunedì è iniziata la tanto annunciata campagna verso Mosul, la capitale delle Stato islamico, la più grossa città controllata dalla dimensione statuale del gruppo jihdista, il luogo da dove Abu Bakr al Baghdadi il 29 giugno del 2014 ha proclamato (nella sua prima ed unica apparizione pubblica ufficiale) il Califfato; ed è nella zona periferica di Mosul, verso Tel Afar che potrebbe tutt’ora rifugiarsi. Riprendere Mosul ai baghdadisti, va da sé, è la più grossa sfida tecnica che la coalizione che combatte l’IS s’è trovata di fronte dall’inizio della propria missione.

Mosul è una città di oltre un milione di abitanti (ce n’erano il doppio prima dell’arrivo del Califfo, poi molti sono fuggiti, altri lo hanno accolto senza troppe remore, altri sono rimasti intrappolati) che si trova al nord dell’Iraq, appena fuori dal territorio semi-indipendente del Kurdistan. Etnicamente è composta da arabi, curdi e turcomanni, prevalentemente di religione sunnita. Riconquistarla presenta due generi di preoccupazioni e ordini di problemi: le difese dello Stato islamico, la gestione delle riconquista.

LA PREPARAZIONE

Da mesi i baghdadisti di Mosul si stanno preparando a questa battaglia; a inizio anno la Casa Bianca aveva messo la riconquista della capitale irachena e della roccaforte siriana Raqqa tra gli obiettivi annuali della lotta la Califfato, ora, a pochi giorni dalle presidenziali, Washington ha spinto sull’acceleratore. Gli uomini di Baghdadi hanno da tempo preparato le contromisure: cecchini controllano il perimetro giorno e notte, minati i campi che circondano le zone residenziali, scavato un fossato per complicare l’avanzata – in alcuni tratti è stato riempito di materiale combustile e poi incendiato perché il fumo nero, denso coprisse le osservazioni di caccia e droni. Secondo le stime ci sarebbero migliaia di soldati del Califfato pronti allo scontro, potrebbero essere cinquemila oppure il doppio: forse gli strateghi militari del Califfo ne potrebbero aver deviato una parte fuori città – anche attraverso i tunnel sotterranei, scavati come via di fuga e passaggio per imboscate. La mossa potrebbe permettere azioni asimmetriche, su altri fronti o dietro le linee del nemico. Dall’altra parte, la Coalizione a guida americana ha ammassato truppe irachene tra i reparti migliori dell’esercito, tra questi il ruolo di primo piano toccherà ancora alla Guardia presidenziale speciale, meglio conosciuta come Divisione Dorata. Con loro alcune milizie tribali locali aiutate dagli occidentali e i miliziani di Hashd al Shabi che avranno un ruolo di certo, poi i Peshmerga curdi che devono tenere il fronte nord senza indispettire Baghdad. Stati Uniti e paesi alleati provvederanno alle operazioni aeree e di artiglieria, oltre a quelle di consulenza a terra fornite dagli specialisti americani (Washington ha mandato per l’occasione altri 600 soldati in questi giorni) e australiani, francesi, canadesi – centro nevralgico Qayyarah, a sud, snodo di collegamento tra il nord e la capitale. Gli italiani saranno in un’area marginale, a difesa dei lavori alla grande diga, ma non è detto che gli scontri non si allunghino fino là, a una ventina di chilometri dal centro città.

LA BATTAGLIA

Cosa succederà è imprevedibile, perché è vero che le forze di liberazione possono contare su oltre trentamila unità e dunque un rapporto di forza come minimo triplo, e soprattutto sull’indispensabile supporto aereo (game changer se abbinato alle attività terrestri), ma si troveranno davanti combattenti pronto al martirio. È stato lo stesso segretario alla Difesa americano ad annunciare nello statement ufficiale a proposito dell’offensiva, che ci si attende una durata di diverse settimane, e comunque “una lunga campagna”. La difficoltà maggiore sarà bilanciare l’azione militare con la presenza della nutrita popolazione. Negli ultimi giorni sono stati fatti piovere volantini che rassicuravano che i civili non sarebbero stati coinvolti, ma a tutti gli effetti è una rassicurazione improbabile: facile che un colpo fuori mira colpisca l’edificio sbagliato, possibile che i baghdadisti usino scudi umani. Tanto più che il clima è teso per la presenza dell’opposizione clandestina, la cosiddetta Muqawama, di cui per prima aveva parlato la Cnn a fine agosto: la “M”, marchio del gruppo partigiano, è iniziata ad apparire sui muri musulawi, ci sono stati piccoli sabotaggi contro i baghdadisti (tiri di cecchini, autobombe ). La rete americana aveva accennato che le forze della Coalizione erano in contatto con questi ribelli, ricevendo da loro indicazioni sui bersagli da colpire: ma la loro resistenza è complicata dal paranoico apparato di sicurezza del Califfato, chi viene scoperto finisce senza testa; la Reuters ha anche scritto di una rivolta sventata dai baghdadisti a cui aveva partecipato un insider vicino al Califfo, anche questa risolta con una cinquantina di esecuzioni.

LE COMPLICAZIONI

Se la presenza di una qualche entità di contrasto interno è una buona notizia per la missione dei liberatori, le complicazioni non mancano. La Divisione dorata è uno dei pochi reparti realmente efficiente tra quelli a disposizione di Baghdad (anche perché riceve e ha ricevuto addestramento dagli occidentali), e anche per questa difficoltà operativa il governo iracheno ha chiesto il sostegno delle milizie sciite. Questo è il primo dei problemi, perché si temono le rappresaglie già osservate in altri fronti contro la popolazione di Mosul, per evitare ciò c’è uno sforzo politico mirato a tenere fermi questi gruppi settari nelle linee di guerra più esterne. In questo sforzo sono impegnate da un lato Iran e Baghdad, che le vorrebbero coinvolte perché le ritengono affidabili, dall’altro Stati Uniti e Turchia che le vorrebbero più lontane possibile. La Turchia, inoltre: il presidente Recep Tayyp Erdogan ha annunciato lunedì mattina che almeno 1500 uomini di una milizia addestrata dai reparti speciali turchi in un campo di Bashiqa, a nord di Mosul, prenderà parte all’offensiva, anche se il governo iracheno ha detto di non volerli e considerarla una forza d’invasione; tra i due Paesi sono volati gli stracci la scorsa settimana. C’è poi il nodo civili: l’offensiva produrrà anche un esodo di dimensioni ancora mai viste in Iraq, e la Russia pressa perché non vengano fatte vittime tra la popolazione disarmata; è quasi surreale, considerando quello che succede ad Aleppo, ma Mosca tiene un atteggiamento terzo e rigido, non partecipando attivamente alla campagna perché il proprio coinvolgimento nella situazione non è indirizzato contro lo Stato islamico, ma si limita a puntellare le difese del regime siriano contro gli i ribelli in Siria. Su tutto, come sarà gestito il dopo-Isis a Mosul? Che spazio lascerà il governo filo-sciita alle istanze locali? Che ruolo giocheranno i comandati e le controparti politiche delle milizie? Come verrà contrastata la presenza dei baghdadisti, che si disperderanno nuovamente tornando alla dimensione terroristica clandestina di una decina di anni fa?

(Foto: Wikipedia, la Grande moschea di Mosul)



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