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La trovata di Renzi su Equitalia nasconde una stangata fiscale. Ecco come e perché

Potenza della comunicazione.  Ecco la slide con cui Matteo Renzi immortalava la soppressione di Equitalia: risparmi pari a 4 miliardi. Un sollievo per le tasche di un contribuente massacrato dal fisco e dalle sue angherie. Immediati i riflessi positivi: con i sondaggi a favore del Sì, per l’imminente referendum, che prendono quota. Una piccola schiarita sul grande oceano della dissidenza.

Sono passate poche ore da quel momento. Il ministero dell’Economia – ma a proposito, si parla con Palazzo Chigi? – ha iniziato il suo lavoro da certosino. Che è quello ingrato di far quadrare i conti. Di colmare la distanza tra il sogno e la dura realtà. Ed è allora che quella slide si é trasformata in un monumento inutile alla retorica ed alla pura propaganda.

Il testo del decreto legge, “bollinato” dalla Ragioneria dello Stato, èanni luce distante da quelle promesse. Non solo ma il verso – altra immagine retorica – è completamente cambiato, fino ad assumere la forma e la sostanza di una nuova stangata fiscale che si abbatterà sull’ignaro contribuente. Altro che bonus di 4 mila euro. Piuttosto un malus di ben più elevate proporzioni.

Cominciamo dalla cifra. Non saranno più 4 miliardi di risparmi, grazie alla rottamazione delle cartelle, ma solo 2,7. Di cui 2 nel 2017 e gli altri 700 milioni spalmati nei due anni successivi. Non si è trattato di una svista. Ma di una modifica sostanziale delle disposizioni di legge. Lo sconto, ad esempio per le multe, in alcuni casi, è diminuito. Ma soprattutto è cambiata la rateizzazione. Non più 72 mesi, come avviene oggi. Bensì solo 4 rate. Il grosso, pari al 60 per cento da pagare entro il 15 dicembre, il rimanente 40 per cento entro il 15 marzo dell’anno successivo. Resta da vedere se sarà più conveniente pagare meno, rispetto al debito contratto, ma con rate decisamente più pesanti. In un momento in cui la crisi di liquidità per le imprese toglie loro ossigeno, vista la situazione delle banche italiane. Lo stesso ministero dell’Economia è stato costretto a considerare quest’eventualità e dimezzare la possibile adesione, rispetto agli standard del passato.

Ma non è nemmeno questo il piatto forte. Sono le norme di accompagno che rendono del tutto indigesta la minestra. Nel prossimo triennio l’erario prevede di incassare oltre 13 miliardi. Una minima parte – 2,7 miliardi – derivano da anticipi di somme non riscosse negli anni precedenti: la rottamazione appunto. Ma i restanti 10 sono frutto di un giro di vite sugli adempimenti fiscali. Anche giustificati con l’esigenza di contenere le forme di evasione, soprattutto per l’IVA, ma destinati comunque a pesare su tutti: persone oneste ed evasori incalliti.

Quei 10 miliardi rappresentano solo le maggiori possibili entrate. Non tengono conto cioè dei maggiori oneri amministrativi che ciascun soggetto sarà costretto a sostenere per venire incontro alle nuove richieste fiscali. Ma lasciamo perdere le minuzie ed occupiamoci del grosso. Dalla stretta sull’IVA e sull’Irpef a seguito delle comunicazioni non più annuali, ma trimestrali, deriveranno maggiori entrate, nel triennio, per 10,4 miliardi. Cui sommare i 2,7 miliardi della sanatoria, per un totale di circa 13 miliardi. Il contribuente risparmierà, rispetto al dovuto, circa il 30 per cento, grazie alla rottamazione. Quindi poco più di 1,1 miliardi. In compenso l’esborso complessivo per cassa sarà di 13,081 miliardi.

Prepariamoci quindi al salasso. Ma, per favore, non raccontateci altre favole.

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