Skip to main content

Lo spread dei titoli di Stato italiani balla. Ecco tutti i perché

bruxelles, euro, francia, Italia

In modo lento, ma inesorabile, gli spread sui titoli italiani continuano a crescere. A settembre i BTP a 10 anni sopravanzavano di  125 punti base il Bund tedesco. Oggi abbiamo toccato quota 152, con un aumento del 21 per cento, maturato in meno di due mesi. Cifre ancora non allarmanti, ma degne di essere monitorate. Nel confronto con gli altri Paesi in difficoltà – Portogallo, Ungheria e Spagna – l’anomalia è evidente. In termini assoluti, il Portogallo è quello che paga un prezzo maggiore, con uno spread pari a 313 punti base. Segue l’Ungheria con un peso leggermente minore (286 punti base). Mentre la Spagna va decisamente meglio. In questo caso lo spread è pari a 108 punti base. Molto meno che in Italia, sebbene il Paese iberico sia da tempo in procedura d’infrazione a causa del suo alto deficit di bilancio.  La dimostrazione che un conto sono le sentenze dei burocrati di Bruxelles; un’altra la risposta del mercato.

L’elemento preoccupante della situazione italiana è la costante crescita delle distanze con tutti gli altri Paesi. Il livello degli spread portoghesi ed ungheresi, pur con alti e bassi, non si discosta molto dai valori fatti registrare lo scorso settembre. In Italia, invece, hanno preso il volo. Il confronto con la Spagna è, per alcuni versi, significativo. Durante il mese di ottobre, in poco meno di tre giorni, gli spread sui bonos erano schizzati da 106 a 131, con un salto di quasi il 24 per cento. Per poi rientrare il giorno successivo. Un picco che può essere messo in  relazione con le turbolenze politiche del Paese. L’incarico a Mariano Rajoy di formare il nuovo governo, dopo una lunga crisi che si è protratta per ben 10 mesi, ha tagliato le unghie alla speculazione internazionale, facendo ritrovare alla Spagna una relativa serenità. Sarà pure un caso, ma il crollo degli spread ha coinciso con la decisione, più che sofferta, del leader provvisorio del Psoe Javier Fernandez di astenersi sul voto di fiducia. Il via libera al nuovo premier, reso possibile dalla preventiva defenestrazione di Pedro Sanchez – el Señor No – dalla guida del partito.

Ecco allora un possibile elemento che giustifica il caso italiano: le incertezze politiche legate alle modalità con cui si sta svolgendo la campagna referendaria. Quella sorta di ordalia mediatica non sembra piacere ai mercati internazionali. Sarebbe quindi opportuno moderare i toni e far rientrare lo stesso referendum nella normale dialettica politica di qualsiasi Paese civile. Un passo nella giusta direzione potrebbero le necessarie garanzie per una modifica dell’Italicum. Uno dei pomi della discordia, ma soprattutto un monumento alla scarsa lungimiranza di Matteo Renzi.

Ma quello politico non è l’unico elemento di incertezza. Sullo sfondo resta una manovra dai contorni ancora indefinita. Che rimarranno tali fin quando non saranno disponibili i testi normativi che, a quanto sembra, ballano come una pallina nel flipper. Solo allora sarà possibile una valutazione complessiva al di là della polemica sui decimali. Le perplessità di Bruxelles non sono di natura statistico- contabile. Dietro la lettera fatta recapitare a via XX Settembre traspare un malumore più diffuso che ne riguarda i fondamentali. L’andamento della spesa corrente, rispetto a quella destinata agli investimenti. Le misure una tantum. L’incertezza delle entrate: verificabili solo a consuntivo.

Basti pensare all’ultima polemica. Quella del presidente dell’Inps, Tito Boeri. Che contrappone alla spesa pensionistica, prevista dal Governo e pari a 7 miliardi, una contro-valutazione che la fa oscillare tra i 20 ed i 44 miliardi. Scarti da capogiro. Lungi da noi la tentazione di voler entrare nel merito, ma è facile pensare allo sbigottimento dei mercati di fronte a queste affermazioni. Che descrivono un Governo sotto assedio: sul fronte europeo il volto arcigno di Bruxelles su quello interno le dichiarazioni di chi – almeno si presume – conosca meglio di altri lo stato dell’arte dell’Istituto che presiede.

Matteo Renzi ha cercato una via di fuga, alzando la voce. L’Italia porrà il veto su altre questioni, che riguardano la vita stessa dell’Europa, se non saranno accolti i suoi desiderata. Fatto, per lo meno, insolito nella tradizione della diplomazia italiana. Non è quindi sfuggita la presa di posizione del Presidente della Repubblica che non sembra essere in completa sintonia. C’è quindi più di un motivo che giustifica l’andamento asimmetrico dei mercati: calmo all’estero, più effervescente, per non dire di peggio, in Italia. Vedremo nei prossimi giorni se l’atmosfera si riscalderà ulteriormente. Se su andamenti che ancora hanno una qualche giustificazione oggettiva si innescheranno manovre d’altro tipo. Come avvenne qualche anno fa. Certo il paracadute di Mario Draghi offre ancora una certa garanzia. Ma il mercato è fin troppo liquido. E la spinta alla ricerca di rendimenti immediati può dar luogo ad una piena, che rischia di travolgere gli argini, troppo fragili, della finanza pubblica italiana.


×

Iscriviti alla newsletter