Il tema della “felicità” circola da qualche tempo in diversi ambiti, compreso quello organizzativo. Fino a poco tempo fa l’argomento pareva avere una legittima esistenza solo nel finale delle fiabe. Oggi, da molte parti, la felicità viene ritenuta oltre che auspicabile, anche concretamente realizzabile nella vita di ognuno di noi. Ne parlano gli psicologi, che studiano le problematiche legate allo stress. Anche in azienda l’argomento sta facendo il suo ingresso, attraverso la figura del Cho (Chief Happiness Officer), che si configura come una possibile evoluzione del direttore del personale. A riprova della serietà del tema, una ricerca svolta nell’ambito delle neuroscienze ha provato a misurare il fenomeno, identificando nel monaco buddista di origine francese Matthieu Ricard, sottoposto a una serie di rilevazioni dell’attività cerebrale, l’uomo “più felice del mondo”.
Daniela Monti, in un articolo uscito di recente nella rubrica Tempi liberi del “Corriere della sera”, dal titolo “L’ossessione della simpatia”, mette in relazione un atteggiamento diffuso di ricerca di “felicità”, con una crescente valorizzazione della simpatia, come dote importante, anche nelle posizioni di vertice delle aziende: poiché oggi le persone ricercano in modo continuo una condizione di felicità diventa necessario, nel mondo del lavoro, essere “simpatici” per avere successo. Il ragionamento merita una riflessione se si vuole prendere sul serio il tema della felicità, collocandolo in un ambito di concretezza. Nella prospettiva indicata, la felicità viene assimilata alla ricerca di esperienze piacevoli: essere simpatici permette di rispondere, nell’incontro con le persone, alla loro esigenza di sentirsi in una condizione di agio. L’equivalenza tra felicità ed esperienze piacevoli può apparire piuttosto logico: che cos’è questa condizione se non il continuo svolgersi di esperienze piacevoli?
Coloro i quali oggi propongono il tema ne hanno una visione completamente diversa: essi non affermano che la felicità debba essere perseguita attraverso la ricerca di esperienze piacevoli, ma anzi affermano il contrario: la ricerca di esperienze piacevoli crea infelicità, non solo perché ci pone in una prospettiva illusoria, ma soprattutto perché dispone la persona in un atteggiamento di rifiuto del non piacevole che rappresenta la base dell’insoddisfazione. Chi studia la felicità, vede questa condizione come un atteggiamento equilibrato dell’individuo che accoglie con pieno apprezzamento le esperienze positive e accetta di confrontarsi in modo costruttivo con le difficoltà: esattamente il contrario delle nostre abitudini più radicate.
Se ora portiamo questa nuova visione della felicità in un ambito organizzativo, possiamo renderci conto di quanto questa tematica possa essere importante per le aziende. Un ambiente organizzativo che promuova un atteggiamento equilibrato dell’individuo, nei confronti sia degli accadimenti positivi che delle difficoltà, conferisce all’azienda maggiori capacità nell’affrontare la complessità degli attuali scenari economici, rendendola piu’ flessibile, piu’ innovativa, e capace di un migliore rapporto con i suoi clienti. Questo spiega perché le aziende italiane in cui le persone sono maggiormente felici, quelle della classifica “Best Workplaces”, sono anche quelle che in questi ultimi anni (2009 – 2016) hanno visto una crescita significativa dei propri volumi (+10,86%), rispetto ai ritmi asfittici dell’economia nazionale (-2,41% dati Great Place To Work® Italia).
Antonino Borgese – Partner di Great Place to Work