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Mps e non solo, cosa temono davvero i renziani se vince il No al referendum

Matteo Renzi

Niente governicchi dopo il voto, ha tuonato ieri Matteo Renzi alla Leopolda. Una frase non detta a caso: nella foga dei comizi a volte si dicono più verità che nelle interviste a giornali e tv. Quel “niente governicchi”, infatti, cela un timore sempre meno nascosto tra i renziani di stretta osservanza. La preoccupazione è che la sospirata rimonta del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre, rispetto ai No finora vincenti, possa non verificarsi.

Per questo, anche se gli sforzi nel comitato per il Sì sono evidenti e apprezzati dallo segretario Pd, tra i renziani e pure nello stesso comitato ufficiale pro Sì si riconosce che manca ancora la cosiddetta killer application affinché i Sì svoltino (qui notizie e approfondimenti di Formiche.net). Inoltre – si ragiona fra i renziani ma anche tra molti sondaggisti –  a preoccupare i favorevoli alla riforma è anche la sovra esposizione del premier. Non si parla della tanto dibattuta personalizzazione del referendum, ma di un aspetto complementare ancora più preoccupante. Se era inevitabile che una riforma voluta dal governo Renzi – anche su un preciso mandato parlamentare ricevuto dal Quirinale all’atto della formazione della maggioranza di governo – non poteva non essere personalizzata sulla figura del premier, nelle ultime settimane l’Uno (Renzi) contro Tutti (ovvero lo schieramento del No plasticamente rappresentato dal seminario organizzato dalla fondazione ItalianiEuropei di Massimo D’Alema) sta rischiando di trasformarsi in un “Tutti contro Uno”. Un format che al momento non premia affatto il Sì. Il senso di solitudine che promana dal format può eccitare i fan più convinti e accaniti, ma tiene alla larga indecisi o tiepidi.

Per tutte queste ragioni i renziani e lo stesso Renzi guardano già oltre. Ossia, nei conciliaboli privati, si mette davvero in conto una sconfitta e si prefigurano gli scenari possibili o auspicabili post 4 dicembre. In questo senso le rassicurazioni che arrivano anche da una parte del centrodestra secondo cui col No Renzi può restare a Palazzo Chigi, non rassicurano troppo. Così come a Largo del Nazareno scrutano con apprensione gli stratagemmi in cantiere nella sinistra dem.

Il risultato delle tesi secondo cui nulla cambierebbe in caso di vittoria del No fa interrogare l’inner circle renziano. Tutti avrebbero interesse affinché a Palazzo Chigi non ci fossero novità a brevissimo termine dopo il 4 dicembre. Il centrodestra, o come si può chiamare la congerie di movimenti e partiti che formano lo schieramento anti Pd, non può spingere troppo per elezioni anticipate viste il caos anche nella leadership. Inoltre i movimenti più barricaderi del centrodestra non sono disposti a una sorta di collaborazione istituzionale a sostegno di un Renzi azzoppato post voto. Così come la sinistra del Pd non muoverà un dito per rimuovere subito Renzi da Palazzo Chigi per puntare invece a rottamarlo come segretario del Pd “normalizzando” Largo del Nazareno, si mormora tra i renziani.

Così lo scenario è il seguente: Renzi resta a Palazzo Chigi seppure sconfitto in una situazione di mercati in fibrillazione non solo per il No (come dice sovente il Comitato del Sì) ma soprattuto perché gli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce già dal prossimo anno sono destinati a ridursi e perché il dossier “sofferenze bancarie” non vedrà ancora una soluzione sistemica (e il fondo Atlante 2 sta sprofondando già su Mps, come ha detto a Formiche.net l’economista Marcello Messori).

Ed è lo stesso destino del piano di salvataggio di Mps a essere legato a doppia mandata alla sopravvivenza del governo Renzi. In particolare per le intese informali raggiunte da Palazzo Chigi e Jp Morgan, advisor di Mps, che prevedono – secondo ambienti finanziari – l’attivazione di una robusta garanzia pubblica Gacs in caso di fallimento della ricapitalizzazione di Mps.

Niente governicchi o governicchio inevitabile?

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