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Il ruolo della destra religiosa nella vittoria di Donald Trump

Donald Trump

La vittoria di Donald Trump ormai è un dato di fatto.  La prima nota che occorre fare riguarda il termine ‘populista’, continuamente impiegato per esprimere la presunta anomalia di questa destra rispetto alla sua storia. In realtà è molto difficile usare questo concetto correttamente senza spiegare bene prima il significato che decidiamo di assegnargli.

Se per populista s’intende esprimere, in questo caso, i connotati di una destra movimentista e anti sistema, ci troviamo infatti, ben presto, in imbarazzo: più della metà del popolo americano non può fare una scelta populista di questo tipo. Sarebbe come dire che gli americani sono tutti animati da una spirito di ribellione di massa, cosa evidentemente assurda. Se invece con populismo vogliamo indicare il fatto che i cittadini abbiano scelto un candidato considerato indipendente dai condizionamenti economici e politici del potere persino della classe conservatrice, allora possiamo anche continuare a dire che Trump è un populista, ma sicuramente con un certo beneficio di inventario.

Intanto è opportuno tener presente che l’elettorato rurale, estraneo per definizione ai grandi conglomerati urbani, ha componenti valoriali molti eterogenee nei diversi Stati dell’Unione. Quasi tutti però non si riconoscerebbero probabilmente nella rappresentazione di se stessi né come movimentisti, dato che anzi, al contrario, in queste ore alcuni protestatari stanno manifestando a New York contro il Tycoon, né come appartenenti alla vasta galassia liberale. In verità tale peculiarità indecifrabile del trumpismo non ha nulla di stravagante. Il liberalismo può avere varie forme, tendenti però sempre a spoliticizzare il potere per renderlo subalterno ad interessi economici, e non tendendo ad identificarlo con un modello identitario sulla falsariga della destra repubblicana. Ronald Reagan, che liberale certamente appariva, anche e soprattutto perché liberista, era una vera anomalia. Trump, outsider di eccellenza, ha viceversa tutti i caratteri anche stereotipati di un conservatore. Non a caso, come diceva Moeller Van den Bruck, “il più grande nemico del conservatore è – appunto – il liberale”.

Dunque, il fatto che Trump opti per una visione protezionista, che la sua ideologia dei muri possa giungere a contrastare alcuni interessi economici di sistema, e che non sia liberale nel senso liberista del termine, sono tutte cose che giocano a favore del suo essere un conservatore e non un semplice populista in senso superficiale, come si dice.

Un fattore rilevante, non sempre preso in considerazione a sufficienza, è indubbiamente quello religioso. Negli Stati Uniti, infatti, i valori spirituali si inseriscono in modo più diretto e incisivo di quanto avvenga in Europa a definire le scelte di voto, e il Partito Repubblicano coerentemente ha nel suo stesso programma esplicitamente dei riferimenti a tematiche derivate dalla fede. Il richiamo GOP ad un’idea sacra della vita, il riferimento alla natura umana come sostanza sociale, ma anche la definizione della libertà come dono divino di cui l’uomo dispone, nonché una certa concezione sacra della famiglia sono, sia nel punto di vista protestante e sia nel versante cattolico, parametri decisivi per l’elettore.

Se, insomma, è vero che esiste un orientamento liberal e uno conservatore nella destra americana, certamente Trump ha rappresentato in campagna elettorale più quest’ultimo, non da ultimo anche con l’avallo di alcune realtà confessionali, soprattutto evangeliche, battiste e mormone, che in nessun modo voterebbero democratico. Due riferimenti possono essere fatti, dal punto di vista storico, per capire: uno rinvenibile in un filosofo ottocentesco come Henry Thoreau che mescolava, per l’appunto, una radicale concezione della sovranità popolare con una particolare idea religiosa di opposizione al male incarnato dal potere e dalla corruzione affaristica. Non mancavano in questo pensatore molte delle idee espresse anche da Trump in questi mesi: un senso originario della giustizia comunitaria, il richiamo ad un ordine sociale compatto ma disuguale, un motivo di fondo di diffidenza verso la mescolanza di culture e soprattutto l’idea che la vita, dono di Dio, dà agli individui quanto serve loro per realizzarsi.

Ora, anche andando oltre queste radici antiche, un segnale forte viene dunque dal complesso mondo cristiano odierno. I Tea Party, ad esempio, non hanno mai smesso di sostenere Trump. E nella loro visione non si tratta di rinunciare al ruolo del governo, come vorrebbe una logica puramente liberale, ma di finalizzare gli obiettivi esecutivi alla tutela dell’identità democratica del popolo americano. La sovranità dei cittadini non è delegabile, pertanto ogni politica fiscale, ogni iniziativa sociale e sanitaria pubblica, come l’Obamacare, diventa espressione di una prepotenza di Stato ai danni dei cittadini, pertanto in contrasto con la visione religiosa della vita e i risparmi della classe media.

La politica, oltretutto, deve contenere i diritti individuali quando di mezzo ci sono valori come la vita, la famiglia naturale, e così via.
Un passaggio fondamentale dello spostamento dei voti cattolici, tradizionalmente in bilico tra Democratici e Repubblicani, a differenza di molte confessioni protestanti sempre orientate a destra, è stato l’ultimo faccia a faccia tra Trump e la Clinton. Il dichiararsi ‘pro choise’ di quest’ultima a proposito dell’aborto, fino al settimo mese, e l’opposta tesi ‘pro life’ di Trump di voler nominare un giudice della Corte suprema che sia invece di orientamento conservatore proprio sui temi etici, ha indubbiamente pesato e spinto, in ultima istanza, tanti cattolici a preferire il magnate all’ex segretario di Stato.

Quando pensiamo alla destra statunitense dobbiamo, pertanto, sempre tener presente che le idee contano più dei personaggi, e che la figura del neo eletto presidente, malgrado tutto, ha saputo dare le garanzie necessarie, anche alla potente comunità ebraica, per ricevere il cosiddetto ‘voto religioso’ americano.

D’altronde, mentre il Partito Democratico nel suo programma muove dal concetto fondamentale di libertà individuale e di uguaglianza, quello Repubblicano dall’idea di vita personale, comunità e appartenenza. Perciò l’anomalo Trump non ha avuto particolari difficoltà a prendersi tutti i voti del partito, perfino con maggiore partecipazione della potentissima e religiosa famiglia Bush, nonché quelli dei democratici conservatori in Florida e Nord Carolina.

Possiamo essere certi, in conclusione, che fin dalla composizione del governo, Trump si muoverà in questa traiettoria moralista, che probabilmente condivide, restringendo il range dei diritti civili, valorizzando gli ideali religiosi e difendendo la matrice culturale e civile della formazione scolastica e familiare.

D’altronde, anche su questo aspetto di fede nazionale, le affinità con Vladimir Putin sono particolarmente evidenti, e dipendono, in ultima istanza, più dalla teologia che dal populismo.

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