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Michael Flynn, ecco idee, mosse e sorprese del futuro consigliere di Trump per la sicurezza nazionale

Michael Flynn dovrebbe essere il prossimo consigliere per la Sicurezza Nazionale nello staff che il presidente eletto Donald Trump sta costruendo: nel giro di poche ore il repubblicano ha nominato anche il prossimo attorney general, Jeff Sessions, e il nuovo capo della Cia, Mike Pompeo. Per Flynn mancherebbe solo la sua risposta, che ci si aspetta sia positiva.

LE VISIONI DI FLYNN

Flynn, “a registered Democrat” ricorda il New York Times – ossia, un democratico – è diventato un fedelissimo di Trump. È un ex generale tre stelle esperto di intelligence che ha guidato i servizi segreti militari della Defense Intelligence Agency (2012-2014, cioè sotto Barack Obama). L’ex generale, che a dicembre compirà 58 anni, ha posizioni piuttosto aggressive contro il radicalismo islamico. Alla convention repubblicana ha fatto un discorso di fuoco sulla necessità di un maggiore impegno dell’America contro l’Islam (radicale), a febbraio su Twitter ha scritto che la paura verso i musulmani “è razionale”. Ha aggiunto il Nyt: “Crede che la militanza islamista rappresenti una minaccia esistenziale”. Una volta in effetti ha detto che la sharia si sta diffondendo negli Stati Uniti: non è vero, ma è un esempio dei “Flynn facts”, come li chiamavano i suoi subordinati quando stava alla DIA, cose non vere, inventate, o ingigantite da Flynn. Nel suo libro uscito a luglio, “The Field of Fight”, dove più o meno racconta di sapere tante informazioni che il governo vuole tenere nascoste ai cittadini per minimizzare la situazione, sostiene di essere stato estromesso dal servizio nel 2014, un anno prima della pensione (sotto le pressioni di James Clapper), per aver fatto presente al Congresso che i cittadini americani si trovano in una situazione di minor sicurezza rispetto a qualche anno fa. Va detto che su questa visione non sbagliava di troppo, secondo molti osservatori, però in realtà sembra che il suo licenziamento sia dovuto più che altro ai suoi problemi di capacità di leadership nella gestione della struttura. (Nota: il coautore del libro di Flynn è il neoconservatore Michael Ledeen, uno che ha posizioni piuttosto secche sull’Iran, tipo “via gli ayatollah”, ed è un supercritico di Obama). Da quando ha lasciato la DIA, per Flynn è iniziata una serie di attacchi all’Amministrazione Obama e al Pentagono: per lui il terrorismo islamico va combattuto senza troppo pol-corr e va fatto insieme alla Russia.

E QUALCHE PROBLEMATICA

Il suo nome era uscito più volte anche per la guida del Dipartimento di Difesa: adesso Flynn diventerà con tutta probabilità il top consigliere del presidente sulla politica estera e militare e avrà accesso diretto alla Studio Ovale e ai dossier più critici. È stato già presente ai briefing di intelligence a cui il presidente ha partecipato da candidato. Era presente all’incontro di giovedì con Shinzo Abe (il premier giapponese è stato il primo leader mondiale incontrato da Trump): con loro anche Ivanka Trump e il marito di Jared Kushner, considerato il macchinatore all’interno del transition team, in combutta con Flynn. Ricoprirà un ruolo in continuità con quello occupato durante tutta la campagna: una presenza che non è stata a costo zero. Per esempio, fu imbarazzante quando i giornali pubblicarono le foto di una sua partecipazione, spesata, al gala annuale di Russia Today lo scorso inverno: era seduto al tavolo a fianco Margarita Simonyan, la direttrice del network che muove le istanze del Cremlino in giro per il mondo – Flynn aveva commentato che non c’era niente di male nel lavoro di RT, e che non è troppo diverso da quello della CNN. In un’altra immagine è ripreso vicino al presidente russo Vladimir Putin, niente di che se non fosse che la foto è arrivata al pubblico in una dei periodi più delicati dei rapporti tra Stati Uniti e Russia e mentre Washington denunciava le ingerenze pro-Trump di Mosca (di spalle si vede anche Jill Stein, un’altra americana presente, era la candidata dei Verdi alle presidenziali).

QUELLO CHE NON È FLYNN (E QUEL CHE È)

Flynn non è “costante e riflessivo”, non è in grado di “contribuire a compensare la natura potenzialmente impulsiva del prossimo presidente”, come sperava fosse il profilo del prossimo Consigliere per la Sicurezza Nazionale Adam Schiff, leader democratico del Comitato Intelligence alla Camera. Tra i vari problemi che Flynn si porta dietro, oltre a quelli caratteriali (un lunatico l’ha definito Colin Powell) e di visioni politiche, ce ne sono alcuni legati a conflitti di interessi. Situazioni delicate che lo avevano nelle ultime settimane messo in seconda fila rispetto ad altri: ma Trump evidentemente ama premiare la fedeltà. Flynn è stato uno dei pochi top militari –  livello raggiunto da outsider, senza i galloni di accademie prestigiose, e forse è anche per questo essere un self-made man che piace a Trump – a sostenerlo sempre.

UNA STORIA TURCA

Uno dei legami controversi è quello con la Turchia del dispotico presidente Recep Tayyp Erdogan. La sua visione a proposito del governo di Ankara, Flynn l’ha resa chiara con un commento pubblicato proprio l’8 novembre, il giorno delle votazioni, su The Hill: la Turchia è un nostro alleato, è in crisi e necessità del nostro supporto, scriveva in estrema sintesi, con l’invito al prossimo presidente, “chiunque esso sia” (ancora non erano noti i risultati), a rispondere positivamente alla richiesta di estradizione che il governo turco ha avanzato verso Fetullah Gulen, ideologo di un movimento di opposizione a Erdogan rifugiatosi negli Stati Uniti dal 1999, che Ankara considera ideatore del golpe di luglio – Flynn ha scritto che il network di Gulen ha tutte le caratteristiche di un’organizzazione terroristica, ricalcando le denunce di Erdogan, e chiamandolo “l’Osama Bin Laden della Turchia” che Washington sta proteggendo. Ma c’è dell’altro. La Flynn Intel Group, una società di sicurezza privata che Flynn ha creato nel 2014, ha avuto l’incarico di lobbying dall’olandese Inovo BV, fondata da Ekim Alptekin, alleato di Erdogan e direttore del Business Council tra Turchia e Stati Uniti, un braccio no-profit del Consiglio per le relazioni economiche estere turco (in un tweet anche Alptekin ha paragonato Gulen a Bin Laden). La registrazione ufficiale nell’elenco dei lobbisti indica come data dell’inizio ufficiale della collaborazione Flynn Intel/Inovo il 15 settembre di quest’anno, e forse a questo è dovuto il cambiamento di linea di Flynn sulla Turchia. Nell’articolo per The Hill infatti, Ankara è descritta come un alleato indispensabile nella regione e un punto di forza contro lo Stato islamico, mentre a gennaio, in un altro pezzo – firmato per la London Review of Books dal famoso giornalista Seymour Hersh, ormai incline a ricostruzioni un po’ avventuristiche (nel caso, tra l’altro: la Turchia ha e ha avuto un filo segreto con l’Isis) – Flynn diceva: “La Turchia stava guardando dall’altra parte quando è iniziata la crescita dello Stato Islamico all’interno della Siria”. Il cambio di rotta di Flynn non sembra proprio un esempio di come “prosciugare la palude” della corruzione a Washington, come da promessa trumpiana in campagna elettorale; tra l’altro Trump aveva anche annunciato che i lobbisti non avrebbero mai lavorato nella sua squadra. Flynn non è un lobbista (il punto di contatto con Inovo è un suo collaboratore, Robert Kelley, come riporta il sito Daily Caller; Kelley a The Intercept ha detto di non aver mai parlato di Turchia con Flynn), ma la ditta che rappresenta svolge questa attività; altra precisazione, non è chiaro se Trump seguirà le stesse linee dell’ex generale nei rapporti con la Turchia (in particolare con Gulen).

(Foto: Flickr, Michael Flynn durante un dibattito di Trump a Phoenix)

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