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Vi racconto la débâcle di Sarkozy e la sorpresa Fillon alle primarie di centrodestra in Francia

La notizia non è la vittoria di François Fillon alle primarie dei Républicains, i post-gollisti che fino nel nome hanno ritenuto di archiviare il recente non esaltante passato segnato dalla disfatta dell’Ump alle ultime consultazioni elettorali. La notizia è la débâcle di Nicolas Sarkozy che da tempo si stava preparando per un sontuoso rientro sulla scena politica come candidato alle presidenziali del prossimo anno. La sua caduta è stata rovinosa. Il suo ex-primo ministro gli ha fatto intorno terra bruciata, come pure ha travolto il “presidenziabile”, Alain Juppé, “creato” dai sondaggisti che ormai possono cambiare mestiere e dall’establishment parigino, quello con la puzza sotto il naso per il quale Marine Le Pen non è presentabile, Hollande non è adeguato, la sinistra è démodé.

Fillon è una creatura di Sarkozy. Abbandonato nel momento in cui si è reso conto del disastroso bilancio di una presidenza occasionalista ed opportunista, l’ex-inquilino di Palazzo Matignon ha preso il volo facendo fuori il potente capo del partito, Copé, e liquidando la vecchia classe dirigente vicina al presidente, ma negli ultimi tre anni abbastanza lontana da non sentirsi più in debito con lui.

Sì, lui, la personificazione dell’arroganza di una destra poco credibile, ondivaga, alla perenne ricerca della mossa vincente senza mai crederci troppo. Negli ultimi mesi avrebbe voluto perfino vestirsi come Marine Le Pen, se ne avesse avuto la possibilità, pur di essere simile alla leader del Front National alla quale ha tentato di scippare tutti i temi politici. Ma il giochetto non gli è riuscito. Il copia/incolla non funziona in Francia. E a Sarkozy non è rimasto altro che contare i dipartimenti e le città che lo hanno “tradito”, dopo che lui aveva tradito il suo stesso elettorato, buttando a mare sovranismo ed europeismo in salsa gollista, defiscalizzazione e lotta all’immigrazione illegale, riformismo e rinnovamento sociale per farsi sostanzialmente i fatti suoi che non hanno mai conciso con quelli della Francia e neppure con quelli degli alleati dell’Unione.

Un brutto giorno, convocati i partner europei all’Eliseo, si alzò dalla tavola dove stavano consumando il sorbetto alla fine di un pranzo piuttosto indigesto e annunciò al mondo, con rumorosi raid aerei, l’attacco alla Libia, complice il suo compare Cameron e con la benedizione discreta di Obama. Il disastro che ne seguì fu l’epilogo della sua permanenza al vertice della politica francese: regalò la presidenza ad Hollande e si portò via le inchieste giudiziarie ferme per via della posizione che occupava, ma riaperte un istante dopo. Ha passato pià tempo tra giudici ed avvocati che con gli elettori ed i militanti.

Sarkozy è stato un leader (o presunto tale) sostanzialmente infedele con chi ne ha favorito l’ascesa, a cominciare da Jacques Chirac e finendo con i suoi compagni di partito. Non ha mai espresso un’idea politica originale e convincente se non quando ha tentato di scippare un po’ di sovranismo da Charles Pasqua, un tantino di nazionalismo dalla retorica gollista, un briciolo di identitarismo dalla destra lepenista. Di suo avrebbe voluto metterci quel tanto di liberalismo che consentisse ai francesi di vivere un po’ meglio, ma non gli è stato possibile poiché le politiche stataliste incoerentemente perseguite mal si sposano con le leggi del mercato. E semmai avesse voluto tentare ardite combinazioni era altrove che doveva guardare, magari al di là della destra e della sinistra, alla nazione come il Generale gli avrebbe consigliato.

Sarkozy è politicamente defunto, irrimediabilmente cancellato, espulso per non essere stato se stesso, nonostante avesse suscitato molte aspettative. Non ha capito, soprattutto, che adulterare le idee e le passioni prevalenti dell’elettorato allungandole, come si fa con il vino cattivo, ricorrendo a massicce dosi di politically correct, salvo poi rinnegarlo, non fa acquistare simpatie di questi tempi. Avrebbe dovuto lavorare alla costruzione di un fronte articolato identitario e nazionalconservatore quando ne aveva la possibilità, prima di perdere la faccia insomma, evitando di demonizzare la Francia profonda che da anni ormai si riconosce nella destra nazionale per inseguirla poi, senza il minimo senso del ridicolo, quando nessuno più poteva fidarsi di lui.

E’ altamente probabile che Fillon e la Le Pen si giocheranno la partita dell’Eliseo. Andrà in scena il solito copione da tempo ingiallito: tutti i difensori della Repubblica, dell’ordine repubblicano, della moralità istituzionale alleati contro la signora che se ne sbatte dell’establishment e prende i voti tra i ceti più umili e vessati della società francese. Siccome negli ultimi tre anni si è allargato il divario tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, è possibile che i “marginali”, ormai maggioranza silenziosa, decidano di gettare al vento i perbenisti appelli di Fillon, mentre la sinistra, pur di testimoniare la sua presenza apparente o nascondere sua l’agonia, si attaccherà alla destra “presentabile”. Il giochino difficilmente riuscirà. E lasciamo stare Trump, la Brexit e le vicende austriache: perfino in Germania, nella solida Germania “merkellizzata”, il sisma che annuncia il cambiamento si sta facendo sentire.

I popoli europei d’Occidente hanno preso coscienza di essere stati espropriati della democrazia, l’unica certezza su cui contavano. La loro sovranità è stata venduta al mercato allestito dai finanzieri. L’Europa che doveva nascere è stata un aborto. Di tutto questo Sarkozy ne era consapevole al tempo della effimera gloria. Poi ha pensato che poteva lucrare sul disagio dando sfogo alle sue ambizioni bonapartiste. Non era difficile prevedere che sarebbe caduto nella polvere, senza conoscere il trionfo di Austerliz e la grandiosa tragedia di Waterloo. Dopotutto è soltanto un parvenu della politica che al Generale avrebbe servito croissant e caffé all’Eliseo.


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