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Ecco come il Parlamento europeo spinge per la Difesa comune

Cooperazione strutturata permanente, forze multinazionali e assetto istituzionale definito. Sono queste le priorità per l’integrazione della difesa secondo il Parlamento europeo, in attesa di un Libro bianco dell’Unione. È stata approvata due giorni fa, con 386 voti a favore, 237 contrari e 74 astensioni, dall’aula di Strasburgo la risoluzione 2016/2052 (INI) relativa all’Unione europea della difesa. Dopo che la scorsa settimana l’iniziativa era stata trainata dal Piano di implementazioni su sicurezza e difesa dell’Alto rappresentante Federica Mogherini e dalle conclusioni su di esso del Consiglio congiunto esteri-difesa (qui l’articolo di Formiche.net), la palla è passata al Parlamento. Che tale processo superi l’incertezza generata dal voto americano è sicuro, ma di certo l’elezione di Trump ha accelerato il dibattito.

DA DOVE INIZIARE

Nonostante la risoluzione non rappresenti un documento vincolante né un atto di iniziativa legislativa, essa, esprimendo la volontà politica dell’organo più rappresentativo dell’Unione, potrebbe dare all’integrazione della difesa quella spinta tanto invocata dai funzionalisti del settore. Il documento prende spunto dalla Global Strategy presentata dalla Mogherini a luglio e dal Piano approvato la scorsa settimana, confermando che il percorso più semplice passa attraverso gli strumenti già predisposti dai trattati, in particolare dalla cooperazione strutturate permanente (Pesco). Il Parlamento “incoraggia tutti gli Stati membri a impegnarsi vicendevolmente in maniera più vincolante istituendo una cooperazione strutturata permanente nel quadro dell’Unione”. Inoltre, invita “a creare forze multinazionali all’interno della Pesco”, affidando ad esse “il compito di attuare il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale”. La risoluzione eredita poi l’idea che era stata dell’Alto rappresentante, di creare un “quartier generale operativo dell’Ue quale prerequisito per la pianificazione, il comando e il controllo efficaci delle operazioni comuni”. Se per la Pesco non sembrano ormai esserci problemi, se non la definizione concreta dei piani su cui gli Stati più volenterosi possano iniziare a strutturare la cooperazione, per il quartier generale ci potrebbero essere maggiori difficoltà, dato che il Piano approvato dai ministri la scorsa settimana aveva già modificato la proposta in semplice “centro di pianificazione”.

UN NUOVO ASSETTO ISTITUZIONALE

Tra gli elementi più interessanti della risoluzione c’è l’esortazione a una più definita struttura istituzionale che, se realizzata, inserirebbe di fatto la politica di difesa tra le materie di competenza dell’Unione. Nonostante, infatti, nel documento si parli di “competenze nazionale”, il Parlamento propone la creazione “di un Consiglio permanente dei ministri della Difesa”, che si configgerebbe come undicesima formazione del Consiglio dell’Unione europea, organo legislativo principale dell’Ue. In più, il documento “invita il Parlamento europeo a definire una vera e propria commissione per la sicurezza e la difesa per monitorare l’attuazione della Pesco”. La risoluzione ritiene “che la sottocommissione (del Parlamento) per la sicurezza e la difesa dovrebbe diventare una commissione parlamentare a pieno titolo”. In più, “invita il presidente della Commissione a creare un gruppo di lavoro permanente sulle questioni di difesa composto da membri della Commissione, che sia presieduto dell’Alto rappresentante” e che coinvolga anche rappresentanti del Parlamento. Con il potenziamento del ruolo del Consiglio, della Commissione e del Parlamento, la risoluzione approvata a Strasburgo predispone l’inserimento della politica di difesa nello schema classico dell’Unione, riconoscendo allo stesso tempo la centralità del ruolo dell’Alto rappresentante e la necessità di attribuire maggiori capacità all’Agenzia europea di difesa.

IL LIBRO BIANCO DELL’UNIONE EUROPEA

Consapevole delle difficoltà di realizzare tali misure, soprattutto per l’opposizione dei Paesi tradizionalmente più reticenti ad integrare la difesa, il Parlamento punta a un Libro bianco europeo, chiedendo all’Alto rappresentante e al Consiglio di redigere “quanto prima” tale documento. Il Libro bianco per la difesa europea, proprio come hanno predisposto diversi Stati membri per le politiche nazionali, dovrebbe “comprendere la strategia di sicurezza e di difesa dell’Ue, le capacità ritenute necessarie per l’attuazione di tale strategia nonché le misure e i programmi, al livello sia degli Stati membri che dell’Unione”. Il Parlamento si dice convinto che tale Libro bianco “debba essere il frutto di processi intergovernativi e interparlamentari coerenti e dei contributi delle diverse istituzioni dell’Ue, fondato sul coordinamento internazionale con i nostri partner e alleati”, tra cui sopratutto la Nato, considerata perfettamente compatibile, e anzi complementare, all’integrazione europea della difesa.

IL BILANCIO E IL SOSTEGNO DELL’INDUSTRIA

E proprio come previsto in ambito Nato, Strasburgo ha voluto lanciare un chiaro segnale per l’aumento del budget per la difesa, forse un segnale di quell’assunzione di responsabilità che l’Unione considera necessaria vista la nuova presidenza statunitense. Il Parlamento, infatti, “chiede agli Stati membri di puntare all’obiettivo di destinare alla difesa il 2 per cento del Pil e di spendere il 20 per cento del proprio bilancio per la difesa negli equipaggiamenti indicati come necessari dall’Agenzia europea di difesa”. Parole in linea con quanto espresso dall’ad di Leonardo-Finmeccanica Mauro Moretti nella sua lectio magistralis al Centro alti studi per la difesa (Casd) (qui l’articolo di Formiche.net). Il Parlamento difatti “ritiene che aumentare la spesa per la difesa negli Stati membri e assicurare che l’industria resti competitiva a livello globale siano fattori fondamentali”. In tal senso, la Preparatory action per la definizione di un futuro programma europeo di ricerca “dovrebbe contare su una dotazione sufficiente di almeno 90 milioni di euro per il prossimo triennio (2017-2020)”. Tale azione però, dovrà “essere seguita da un importante programma di ricerca dedicato e finanziato dall’Ue nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale che avrà inizio nel 2021”. Esso “necessiterà di una dotazione totale di almeno 500 milioni di euro all’anno nel suddetto periodo”, afferma la risoluzione.

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