Sarà François Fillon il “presidenziabile” della destra popolare francese. Circa il 70 per cento dei Républicains ha scelto lui contro Alain Juppé alle primarie che una settimana fa avevano decretato l’uscita di scena di Nicolas Sarkozy. E Fillon, considerato dall’ex-presidente gollista una specie di sua proprietà privata quando era primo ministro, ha in tasca la quasi certezza di occupare l’Eliseo nel maggio prossimo.
Notizia peggiore Marine Le Pen non poteva ricevere, anche se realisticamente l’attendeva. Il nuovo leader “moderato” è non solo in grado di erodere l’elettorato tradizionale del Front National, ma di rilanciare il movimento di ispirazione gollista facendo suoi numerosi temi che fanno parte del bagaglio politico-culturale lepenista. Il primato dell’identità nazionale, la difesa dei valori cattolici, gli interessi del ceto medio massacrato dalle politiche fiscali prima di Sarkozy e poi di Hollande sono “asset” condivisi a destra come al centro dove negli ultimi anni si è faticato non poco a riconoscersi in quel rassemblement eterogeneo cementato da una una visione della Francia sobria e dunque non arrogante.
Fillon è stato a lungo considerato un eterno secondo, ma non è così. Dalla caduta di Sarkozy nel 2012 ha ingaggiato una dura dura lotta in quello che all’epoca era l’Ump per ritagliarsi uno spazio nonostante fosse stato il principale collaboratore del “grande sconfitto” per molti anni, non mancando tuttavia di prendere le distanze da lui e dai suoi intimi quando l’arroganza del potere è sconfinata nell’irresponsabilità: la disastrosa e stupida “campagna di Libia” non l’ha certo visto tra i sostenitori più accesi.
Poco alla volta Fillon si è allontanato dal sarkozysmo, si è fatto largo tra le correnti, ha messo in un angolo la leadership del partito capeggiata dell’ex-presidente del partito Jean-François Copé, che il 19 novembre del 2012, dopo un giorno di incertezza, che lo batté con uno scarto ridottissimo (50,03 per cento, contro 49,97, ossia solo 93 voti di differenza). I risultati vennero contestati, e Fillon rifiutò qualsiasi ipotesi di collaborazione con l’avversario. Andati a vuoto i tentativi di mediazione esperiti da Juppé e da Sarkozy, e respinta da Copé la soluzione di un referendum, il 28 novembre 68 deputati che si richiamavano a Fillon costituirono un gruppo autonomo all’Assemblée nationale, il Rassemblement-UMP. Poi, dopo un accordo con Copé, il gruppo si sciolse.
In seguito a queste vicende, Fillon ha mantenuto un profilo basso lavorando alacremente alla trasformazione del vecchio partito, sostenendo in questo caso ancora una volta Sarkozy, ed apponendo anche il suo sigillo sul nuovo soggetto denominato Les Républicains.
Per qualcuno Fillon è la discrezione fatta persona. Per tutti non è un parvenu, ma un politico navigato che ha saputo incarnare la meglio il suo ruolo come uomo di Stato senza lasciarsi attrarre dalle sirene germaniche, a differenza del suo presidente. E per di più, smantellate le correnti, ha avuto la capacità di riunire le molte anime golliste che negli ultimi anni litigavano forsennatamente.
La riforma del mercato del lavoro, il taglio della spesa pubblica, la razionalizzazione degli interventi pubblici, la cancellazione della settimana a 35 ore, la riorganizzazione della pubblica amministrazione, il recupero di un rapporto dialettico con l’Unione europea e il rifiuto di acquiescenza alle politiche decise a Bruxelles e Francoforte costituiscono il menù di uno statista del quale tutto si può dire tranne che non sia un liberal-conservatore con ascendenze nazionaliste in continuità con la lezione del Generale, modernizzata e nei toni adeguata ai tempi.
Per tutti questi motivi Marine Le Pen ha di che essere preoccupata. Potrà indubbiamente contrastarlo rispolverando il vecchio armamentario dell’opposizione del Front national, vale a dire l’accusa di aver contribuito a creare i presupposti della disoccupazione quando Fillon era primo ministro di Sarkozy o rilanciando la critica all’allungamento dell’età pensionistica a 65 anni o ancora agitando lo spettro del mezzo milione di impiegati pubblici che il suo concorrente ha annunciato di voler tagliare. Ma potrà bastare?
Fillon dice anche che lo “Stato è fallito” e, dunque, bisognerà rifondarlo dalle fondamenta. Vaste programma, avrebbe detto il generale De Gaulle. Non è detto che non ci riesca, ma a condizione che rassereni il clima politico e sociale. E’ per questo che la “Francia profonda”, con molta probabilità respingerà il radicalismo della Le Pen come l’inanità della sinistra soprattutto se dovesse ripresentarsi con François Hollande ai nastri di partenza. E’ quesi certo che al primo turno la Le Pen e Fillon sbaraglino il candidato della gauche. Ma dopo? Realisticamente, considerando la singolarità del sistema elettorale francese, giudicando alla luce della caratura dei contendenti, tra l’uno e l’altra al ballottaggio non dovrebbe esserci partita. Fillon ha la strada spianata conquistando anche i voti di buona parte della sinistra moderata.
Altra storia sarebbe stata se Juppé o lo stesso Sarkozy fossero stati gli sfidanti della Le Pen. Ma non è andata così e, con ogni probabilità, non ci sarà un’altra occasione per la tenace ed intelligente figlia del fondatore del Front National. Al di là dei meriti di chiunque, è il bizzarro sistema, che condanna perfino chi ottiene più voti al primo turno a vedersi sorpassare quando il sentimento dell’Union sacré prevale su qualsiasi altra considerazione. A meno di un rivolgimento dalle proporzioni gigantesche, pure possibile considerando il contesto europeo e mondiale nel quale si svolgeranno le elezioni, Fillon dovrebbe dunque vincere. Ma, sapendo che non vuole essere il salvatore della sinistra che intende ridimensionare fortemente, attendiamoci da lui temi e toni che abbiamo imparato a conoscere da Marine Le Pen.
Un “gollista-lepenista” non è ipotesi da buttare via.