E’ possibile giudicare la figura di Fidel Castro rimanendo prigionieri del tempo presente? Operazione non solo legittima, ma necessaria dal punto di vista dell’etica politica. Il cui principio ispiratore, non negoziabile, è la difesa intransigente della difesa delle libertà individuali. Pietra miliare di ogni convivenza civile. Valori, a loro volta, che sono il prodotto della modernità, sebbene teorizzati come elementi inalienabili del diritto naturale. La cui emersione, tuttavia, ha richiesto una lunga sedimentazione storica, che solo oggi appare, appunto, appartenere all’ordine primordiale delle cose.
Da questo punto di vista un giudizio demolitore, à la Trump per intenderci, è più che giustificato.
Ma è appunto il presente che ne limita la valenza semantica. Quel giudizio è completo solo se si resta all’interno di questo perimetro. Mentre, da un punto di vista storico, quindi meno spasmodico, le cose sono più complesse. Qui gli elementi di contraddizione sono amplificati dalla longevità del personaggio. Quei 90 anni di vita gli hanno consentito di vivere in mondi diversi. Epoche in cui il valore della libertà individuale doveva convivere con altri principi ed a volte soccombere nel nome di sovrastanti interessi nazionali e mondiali.
La rivoluzione cubana fu inizialmente lotta di liberazione nazionale contro Batista, che certo non era un campione delle libertà individuali. Assunse un carattere socialista solo dopo il suo successo in un contesto internazionale segnato dalla lotta di emancipazione dei popoli contro l’imperialismo occidentale. Lotte a volte cruenti – il Vietnam – altre volte pacifiche, come nell’India di Gandhi. Che non sconvolsero solo questa parte del Mondo. Come dimenticare l’Ungheria del 1956 o i successivi fatti di Praga: quando lo stesso blocco sovietico fu sconvolto da una spinta di identico segno.
Tutto ciò senza considerare la politica americana nei confronti di Cuba: la cui rivoluzione minacciava di produrre un effetto domino in tutta l’America latina, dominata per anni dalle grandi compagnie multinazionali e dalle loro tecniche di rapina. Si può ignorare tutto questo e ridurre la figura di Castro a un semplice caudillo: figura tipica della realtà di quell’immenso continente? Fosse questa l’immagine più appropriata, non si comprenderebbero mille cose della storia del ‘900. A partire dal duro confronto che portò quasi allo scontro diretto russo-americano nel lontano 1962. Quando il Mondo tremò per un possibile conflitto nucleare. Le navi russe, già in prossimità dell’isola, tornarono alla base, ma a Cuba ne fu garantita l’esistenza.
Krusciov, allora, fu costretto a intervenire mettendo da parte ogni real politique, anche a causa del prestigio che Castro si era conquistato a livello internazionale. Non era scontato. Basti pensare a quanto avvenne durante la guerra di Spagna. E come Stalin non esitò un attimo nel sacrificare la giovane Repubblica per evitare un confronto diretto con le armate hitleriane.
Gli anni d’oro della vita di Castro. Purtroppo destinati, nel tempo, a trasformarsi in piombo. Il suo grande limite fu quello di non comprendere che quel mondo – il mondo dell’afflato internazionalista e della dittatura del proletariato – stava tramontando rapidamente. Che all’interno dello stesso blocco sovietico il principio di libertà, per troppi anni compresso, emergeva con la forza di un maglio compressore. E che i fermenti, che si agitavano anche all’interno della società cubana, non andavano repressi, ma coltivati per dare al suo popolo quel “di più” in cui egli stesso aveva creduto nei suoi anni giovanili. Non aver avuto questa consapevolezza lo ha portato a trasformarsi da “liberatore” in esponente di una nomenclatura chiusa, incapace di vivere fino in fondo la contemporaneità.
Nella prospettiva storica, quindi, la sua figura va interpretata nel gioco delle luci e delle ombre. Specie da parte di noi italiani, che viviamo ancora di un complesso dal quale non riusciamo del tutto a liberarci. Non possiamo continuare a parlare del “fascismo”, come se fossimo ancora fermi al 1948. Di quello stesso fenomeno dobbiamo dare una lettura meno manichea. Non fu “il male assoluto”. Fu un regime che introdusse nell’Italietta giolittiana forti elementi di modernità. Che contribuì, in qualche modo, a creare alcune fondamenta – pensiamo solo al welfare – che ancora oggi connotano la realtà del nostro Paese. E che garantirono allo stesso Mussolini quel consenso, che non fu estorto dall’Ovra – la polizia segreta – ma conseguenza delle politiche seguite. Questo almeno prima della scellerata decisione di partecipare alla guerra a fianco della Germania di Hitler. Decisione che segnò il punto di non ritorno. Ma proprio per questo, per evitare di rimanere impantanati nella stessa palude, è necessario guardare alla figura di Castro con lo maggior distacco. Che è segno di una maturità intellettuale, finalmente, conquistata. Di una “forza tranquilla” in grado di fare i conti con la storia.