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La vittoria di Trump influenzata dalla Russia. Parola della Cia

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La Cia ha comunicato in un briefing a porte chiuse, tenutosi per pochi rappresentanti a Capitol Hill la scorsa settimana, le conclusioni del suo rapporto a proposito delle ingerenze russe nelle elezioni presidenziali americane: per l’intelligence, Mosca ha giocato un ruolo importante nel far vincere Donald Trump e screditare agli occhi degli elettori Hillary Clinton.

MOSCA HA PASSATO INFORMAZIONI A WIKILEAKS (?)

Per esempio, alcuni anonimi funzionari hanno raccontato al Washington Post di essere certi che dietro al passaggio a WikiLeaks – che le ha poi pubblicate – delle email confidenziali sottratte al capo della campagna elettorale di Clinton, John Podesta (tra queste quella dell’assurdo caso della pizzeria Comet) e al Comitato nazionale del Partito democratico, ci siano elementi “noti alla comunità dell’intelligence” collegati al Cremlino: “La valutazione della comunità di intelligence è che l’obiettivo della Russia era quello di favorire un candidato rispetto all’altro, ossia aiutare Trump a essere eletto”, ha detto al WaPo uno di questi funzionari. Questo però non siamo certi significhi che il Cremlino “ha diretto” quei passaggi di informazioni, ha spiegato un altro (Julian Assage, intervistato dal network diretto dal governo russo Russia Today a inizio novembre, aveva detto che la fonte della sua organizzazione non era il Cremlino). Ma le due parole che vengono riprese e virgolettate dai media americani sono “alta sicurezza”, a significare che le analisi sono praticamente accertate sul ruolo di Mosca.

L’ACCUSA È DURA

È un’accusa importante che arriva da una valutazione che ha interessato tutte le 17 agenzie di intell americane, e che ricalca le denunce formali di due mesi fa fatte dal Director of National Intelligence e dal dipartimento dell’Homeland Security a proposito del coinvolgimento della Russia in questi episodi. Venerdì scorso il presidente Barack Obama aveva ordinato una revisione dell’intero fascicolo per stringere sulle conclusioni (sarà consegnato prima dell’insediamento di Trump, il 20 gennaio, e sarà l’ultimo incarico importante supervisionato da James Clapper, il dimissionario capo delle intelligence americane). Obama deve fare i conti con le pressioni dei membri democratici della National Security, e con quelle di sette senatori dem che hanno addirittura chiesto di desecretare i report per permettere agli elettori di capire cosa fosse successo.

TERRENO DI SCONTRO

L’intrusione russa nelle elezioni è argomento sul tavolo da diverso tempo, tanto che la Casa Bianca era arrivata a minacciare direttamente, attraverso la voce del vice presidente Joe Biden, possibili ripercussioni contro la Russia, parlando di attacchi cyber. Alla fine la linea presidenziale è stata molto più morbida, fatta più che altro di denunce vocali, richieste di prese di posizione bi-bartisan, e inviti all’attenzione per possibili intrusioni cibernetiche nei sistemi di voto. Obama teme che ci venga letta una delegittimazione della vittoria di Trump (per questo molti democratici hanno sostenuto che Mosca non abbia avuto in programma di favorire Trump, ma più che altro le azioni russe avevano come obiettivo quello di minare il sistema elettorale, e dunque la base della democrazia americana). Obama, dai rumors circolati in questi mesi, pare tema anche che un atteggiamento eccessivamente duro possa compromettere troppo i rapporti con la Russia. L’argomento è uno di quelli di contrasto – sono tanti – tra democratici e repubblicani: a settembre, durante un ragguaglio riservato per i membri del Senato dal quale poi sarebbe dovuta uscire una presa di posizione per tenere una linea comune tra le due forze politiche principali in nome della sicurezza e sovranità americana, il capo della maggioranza rep Mitch McConnell disse di aver dubbi sulla veridicità delle ricostruzioni di intelligence (McConnell è il marito di Elaine Chao, che Trump ha scelto come prossimo segretario ai Trasporti).

LA REPLICA DI TRUMP

Il transition team, lo staff dell’Amministrazione temporanea di Trump, ha risposto con una breve e pungente dichiarazione a proposito di queste ultime indiscrezioni fatte uscire dei funzionari venerdì: “Queste sono le stesse persone che dicevano che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa.L’elezione si è conclusa molto tempo fa, in una delle più grandi vittorie elettorali nella storia. È giunto il momento di andare avanti e rendere l’America Great Again”, riprendendo nel finale il più famoso claim trumpiano. “Non vi è alcuna prova chiara, neanche adesso” è il commento del repubblicano David Nunes, chairman della Commissione Servizi Segreti alla Camera e membro del transition team di Trump.

I REPUBBLICANI SONO STATI SPIATI E “GRAZIATI”

Quello che esce dalle ultime notizie è tutto sommato cosa nota, o meglio una conferma. Il dato in più di queste valutazioni è invece legato proprio ai repubblicani: secondo quanto riportato dal New York Times, l’alta sicurezza di cui parlano i funzionari di intelligence sarebbe dovuta al fatto che a finire sotto l’attacco degli stessi hacker siano stati anche i server del Comitato nazionale repubblicano, solo che in quella circostanza non furono diffuse informazioni. E dunque, la decisione di passare alle fonti di diffusione informazioni riguardanti solo i democratici sarebbe la prova del dolo nel piano con cui Mosca ha voluto screditare Hillary e far vincere Trump. I repubblicani però difendono una linea diversa, sostenendo che il loro sistema era più protetto e per questo non è stato possibile trafugare niente, altrimenti sarebbero state diffuse anche cose su di loro – di fatto sono uscite solo poche email (200 in tutto) personali di personaggi minori.


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