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Ecco la vera strategia di Matteo Renzi con Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi

L’acuto e navigato Francesco Damato nel suo articolo di ieri analizza i momenti della crisi di governo alla luce delle voci, dei si dice, dei retroscena, che storicamente accompagnano la liturgia del cambio della guardia a Palazzo Chigi. Non sottraendosi a graffiare il presidente del consiglio uscente, per l’inusuale prassi (scorretta?) delle consultazioni parallele, spiega come potrebbe maturare la scelta di Mattarella su Gentiloni o su altro papabile, quale presidente incaricato, non trascurando un possibile ritorno in gioco di Renzi. Un reincarico che però farebbe perdere la faccia al presidente dimissionario, postosi sempre come elemento della diversità.

Damato ha voluto ricordare a tale proposito che nella storia politica del nostro paese essa non ha portato molta fortuna a illustri leader, tra cui Enrico Berlinguer. Ma poi quale diversità? Quella di aver sostituito il suo rampante e spregiudicato riformismo con il becero trasformismo? Oppure quella della notte dei risultati del referendum, dove si presentò con sobrietà agli astanti, assumendosi la piena responsabilità della pesantissima sconfitta, per cambiare totalmente registro il giorno dopo alla direzione del PD, dove si ascoltò solo il verbo del capo, zittendo addirittura in modo inconsueto e meschino il senatore Tocci, che aveva chiesto la parola?

Ecco, questo è il renzismo di cui una parte d’Italia si è alimentata emotivamente, ed è ancora convinta di essere dalla parte della modernità che avanza, senza rendersi conto che Renzi sta giocando una partita sua e solo sua. A lui non interessa il partito a vocazione maggioritaria o da condividere con altri, lui vuole il suo partito. Lo sviluppo del Paese è relativo, e non fa drammi se dal Mezzogiorno d’Italia il referendum ha ricevuto il 70% dei NO: ovvia reazione al triste primato dell’indigenza della gente del Sud, dove circolano statistiche che danno una famiglia su due in povertà o quasi. La storia odierna delle consultazioni parallele a palazzo Chigi, mentre il Capo dello Stato svolge faticosamente quelle ufficiali, è la conferma che Renzi sta giocando la sua partita, senza guardare a tutto il resto, se non ad accrescere il suo potere con le caselle da occupare nel governo e nel sottogoverno. La conquista del potere come affermazione del proprio ego: ipertrofia narcisista.

La vicenda referendaria sta lì a dimostrarlo. Non una sola riunione per analizzare il voto di domenica scorsa, non un confronto nei talkshow, pur da lui frequentati per tre quarti della giornata prima della consultazione referendaria, ma una rapida rimozione, per passare immediatamente al prossimo obiettivo che è quello di riconquistare il partito, e se non ci riuscirà, ognuno per la propria strada. E qui si capisce che in lui non c’è un progetto di governo per il nostro Paese, ma soli titoli di alcuni capitoli che potrebbero essere scritti da chiunque e ovunque.



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