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Mps, ecco cosa succede e che differenza c’è tra bail-in e burden sharing

Marco Morelli

Che cosa sta succedendo al Monte dei Paschi di Siena? Dare una risposta non è facile. Dopo le recenti indiscrezioni circa il “no” della Banca centrale europea alla richiesta di proroga dell’operazione di salvataggio dal 31 dicembre al 20 gennaio, le più svariate ipotesi si sono succedute, mentre Paolo Gentiloni ha ricevuto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, l’incarico di formare il nuovo governo. Vediamone alcune.

L’IMPASSE
Se effettivamente la divisione di vigilanza della Bce, guidata da Danièle Nouy, ha detto “no” alla proroga, il piano di salvataggio di Mps rischia di essere messo pesantemente in discussione. E questo perché fin da subito si era capito che chiedere sul mercato 4 miliardi ad azionisti vecchi e nuovi è un azzardo. Dall’offerta di riacquisto delle obbligazioni subordinate, invece, è arrivato “appena” 1 miliardo che consente di ridimensionare l’aumento da 5 a 4 miliardi ma che certamente non risolve i problemi. La richiesta di una proroga alla Bce è quindi legata alla possibilità che in mancanza di un po’ di tempo in più (sebbene 20 giorni siano comunque pochi) l’impianto del salvataggio, che passa anche per la vendita di un maxi pacchetto di sofferenze, possa saltare

L’IPOTESI BAIL-IN
In questo contesto, dunque, che si fa? In un recente comunicato stampa dove presentava l’operazione di riacquisto delle obbligazioni subordinate, con obbligo di reinvestimento in azioni di nuova emissione, Mps scriveva nero su bianco che in mancanza del piano di salvataggio il rischio concreto è che scatti il bail-in, cioè la risoluzione della banca senese con le nuove regole in vigore dallo scorso gennaio. Che prevedono, in caso di crisi di un istituto di credito, la riduzione del valore nominale (e nel peggiore dei casi il vero e proprio azzeramento), nell’ordine, delle azioni, delle obbligazioni subordinate, dei bond ordinari (a patto che non siano garantiti) e dei depositi di importo superiore ai 100 mila euro.

L’INTERVENTO PUBBLICO
In questi giorni, sta tuttavia sempre di più crescendo l’ipotesi di un qualche tipo di intervento pubblico per evitare l’adozione di un bail-in vero e proprio, i cui effetti potrebbero rivelarsi sconvolgenti per tutto il sistema bancario italiano. Il timore è che si generi una crisi di fiducia che si propaghi all’intero settore del credito. Da qui appunto l’ipotesi di un paracadute pubblico, che per ovvie ragioni però risulta tanto più difficile da aprire in una fase di mancanza di governo come quella attuale. Secondo indiscrezioni, la strada dovrebbe essere quella di un decreto legge che formalizzi la ricapitalizzazione cosiddetta “precauzionale”, che prevede un intervento statale (per esempio in qualità iniziale di garante dell’aumento di capitale) dopo la penalizzazione di azionisti e obbligazionisti subordinati, i quali potrebbero anche subire la conversione obbligatoria.

IL BURDEN SHARING
E’ quest’ultimo il caso del cosiddetto “burden sharing”, che penalizza appunto azionisti e obbligazionisti subordinati e che è stato applicato nel novembre del 2015 con il salvataggio delle quattro banche Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti. Quindi, in caso di dissesto di una banca, con il burden sharing, prima del coinvolgimento di fondi pubblici, viene attuata la riduzione del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate (o la conversione in capitale di queste ultime). Il bail-in, invece, prima del coinvolgimento del Fondo di risoluzione (o più in generale dei fondi pubblici), prevede la riduzione del valore nominale non solo delle azioni e delle obbligazioni subordinate, ma anche dei titoli di debito più senior, quali le obbligazioni ordinarie e i depositi di importo superiore ai 100 mila euro.

L’ALTERNATIVA AL DECRETO
Secondo Il Sole 24 ore dell’11 dicembre, si potrebbe prevedere un intervento pubblico anche senza adottare un decreto legge, cosa non particolarmente semplice in questa fase politica. Scrive Isabella Bufacchi: “In aggiunta al decreto legge, che è uno strumento “pesante” nei tempi e nei contenuti, i tecnici che studiano tutte le variabili in campo stanno considerando anche l’opportunità di poter ricorrere a un provvedimento “snello”, nel momento in cui servisse un impegno del Tesoro a intervenire con l’acquisto di strumenti di capitale della banca o con un’iniezione di fondi propri”. E ancora: “Il Tesoro potrebbe e dovrebbe essere in grado di varare alla svelta un provvedimento diverso dal decreto legge che si limiti a confermare la capacità e la volontà dello Stato italiano di intervenire nell’aumento di capitale del Monte, nell’ambito della direttiva e delle norme europee esistenti: senza mettere nero su bianco l’importo dell’impegno che sarebbe poi blindato in un decreto legge con approvazione in Parlamento”. Si vedrà, ma quel che appare certo è che l’intervento pubblico su Mps sembra ormai sempre più vicino.


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