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Come e quanto bisticciano Cia e Donald Trump

Il presidente eletto americano Donald Trump ha definito “ridicole” le indagini delle intelligence americane, il cui contenuto è stato reso pubblico dalla Cia, secondo cui la Russia avrebbe favorito l’elezione del candidato repubblicano a discapito della contendente democratica Hillary Clinton. Ossia, il prossimo commander in chief ha attaccato un’inchiesta condotta da tutte le 17 agenzie di intelligence governative, le stesse agenzie che su cui in un futuro dovrebbe esercitare il suo ruolo presidenziale: un corto circuito difficilmente inimmaginabile perfino nei film cospirazionisti meno realisti.

SEMANTICA DEL RIDICOLO

Intervistato da Fox News Trump ha detto che quelle analisi dei servizi segreti (quelle “ridicole”) era un tentativo dei democratici per trovare scuse per la sconfitta: “È solo un’altra scusa. Io non ci credo”. Nell’intervista ha anche spiegato che lui ha preferito non ricevere briefing di intelligence giornalieri – President’s Daily Brief (PDB) è il termine tecnico –, perché lui è una persona “smart”: li userò “quando mi servono”, “non ho bisogno di sentirmi dire le stesse parole nello stesso modo ogni singolo giorno per i prossimi otto anni”. Fonti informate sui fatti hanno raccontato la scorsa settimana alla Reuters che Trump sta ricevendo un briefing a settimana, molto meno della media dei suoi predecessori – i briefing non sono obbligatori, ma come spiega l’ex Cia David Priess nel libro “The President’s Book of Secret” tutti i suoi predecessori ne hanno usufruito per avere chiara la situazione “tutti i giorni o quasi”. La presa di posizione di Trump nei confronti della comunità dei servizi americana è stata definita “rara” dal Financial Times, e quell’aggettivo nasconde dietro termini meno polite apparsi nei giri di stampa anglosassone contatti, cose tipo “laughable“, risibile, ridicolo (lui, non i report della Cia), ma è forte il rispetto delle istituzioni e certe scelte semantiche restano chiuse nelle redazioni (nota: Kellyanne Conway, campaign manager di Trump e in odore di qualche nomina importante nell’amministrazione, ha invece usato proprio “laughable” per riferirsi all’inchiesta sull’interferenza russa).

IL CONGRESSO VUOLE APPROFONDIMENTI

L’impennata di tensione tra PEOTUS (acronimo usato per il presidente eletto) e la Cia arriva nel momento in cui la linea bipartisan dei congressisti americani è più o meno “vogliamo approfondimenti e vogliamo chiarezza sul se Mosca ha compromesso le elezioni e la nostra sovranità”: “Democratici e repubblicani devono lavorare insieme, e a cavallo delle linee giurisdizionali del Congresso, per esaminare questi recenti incidenti e approfondire e studiare misure di deterrenza e difesa contro possibili cyber attacchi” si legge in un (altrettanto raro) statement firmato da John McCain e Lindsey Graham per i repubblicani, Charles Schumer e Jack Reed per i democratici – personaggi di primissimo piano nei rispettivi partiti e membri esperti delle Commissioni camerali su Servizi e Forze armate. Anche il senatore Mitch McConnell, che aveva mostrato scetticismo sulla vicenda, ha fatto sapere di appoggiare la linea dell’investigazione. Azioni di hacking nei mesi scorsi hanno colpito il Comitato nazionale del Partito democratico insieme ad alcuni personaggi di spicco della campagna Clinton, e dalle ultime rivelazioni a finire nel mirino sarebbe stato anche il Comitato nazionale repubblicano (Rnc). Solo che le informazioni sottratte a quest’ultimo non sono state passate nelle mani dei punti di diffusione come WikiLeaks, e questa circostanza per l’intelligence è una prova ulteriore che quegli hacker – certamente russi, probabilmente collegati con le strutture di spionaggio del Cremlino – hanno agito con dolo, cercando di screditare la candidata dem. Rience Priebus, futuro capo della staff di Trump e già presidente dell’Rnc, ha dichiarato a Politico che su questa ricostruzione non c’è niente di vero, perché i server del comitato che presiedeva non sono stati attaccati, e per questo non sono state diffuse informazioni sui rep.

TRUMP E L’INTELLIGENCE

I rapporti di Trump con le intelligence sono iniziati a degenerare a settembre, quando disse che dal “linguaggio del corpo” degli uomini che lo ragguagliavano nei briefing (a cui aveva già accesso come candidato frontrunner) lui aveva capito che quei funzionari non erano soddisfatti dell’Amministrazione Obama – seguirono smentite, ma l’affermazione non faceva altro che riprendere, estremizzandola per il contesto, un vecchio cavallo di battaglia repubblicano, secondo cui la Cia era asservita a Barack Obama per via che il suo direttore, John Brennan, aveva con BO rapporti molto stretti. La tensione raggiunta domenica era stata anticipata da una frecciata uscita dall’ufficio stampa del transition team, che dopo essere arrivato a conoscenza delle spifferata sull’inchiesta a proposito del coinvolgimento russo, aveva replicato che quelle analisi arrivavano “dagli stessi che avevano detto che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa”. Pochi giorni fa CBS News ha pubblicato un storia che conteneva le rivelazioni di un funzionario dell’intelligence che confermava il disinteresse di Trump per i briefing dei servizi,” spesso disertati” dopo le elezioni – probabilmente Trump sta usando uomini fidati, come il Consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn, per filtrare gli incontri (Flynn quando dirigeva l’intelligence militare ha avuto però anche lui rapporti tesi con la Cia). In un’intervista al programma televisivo “Face the Nation” l’ex direttore di Langley, Leon Panetta, ha detto di essere molto preoccupato di questo atteggiamento di Trump, mentre altri analisti hanno sottolineato come la linea intrapresa dal presidente eletto, che critica apertamente le analisi delle agenzie di intelligence minandone la legittimità e la faccia, è molto pericolosa per come passa all’esterno, tra la popolazione.

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