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Berlino, la Jihad e l’Occidente

Ci risiamo. Ieri sera alle 20,15 il terrorismo è tornato a colpire. L’attentato al mercato di Natale di Berlino è una novità, ma, a ben vedere, non è nulla di nuovo: né nella dinamica, analoga se non identica a quella di Nizza, né nei mandanti, probabilmente l’Isis, né negli esecutori materiali, immigrati o profughi che siano.

A ritmo di mesi o di settimane ci ritroviamo sempre daccapo, a piangere innocenti barbaramente uccisi e a fare incursioni posticce in campi profughi che erano lì anche ieri.

La guerra allo Stato Islamico sta giungendo a un punto estremo ad Aleppo, e la coda bellica colpisce Ankara, con l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia, e ha percosso la più mitteleuropea di tutte le capitali europee.

Similmente a quanto avvenuto nelle precedenti scorribande il nostro Paese ha costituito anche in questo caso un territorio chiave nell’organizzazione e addirittura un punto di partenza della spedizione di morte.

Il problema di Paesi come la Germania e la Francia è diverso dal nostro, anche per la eccezionale presenza di comunità islamiche al proprio interno, nel cui seno sono allevati i fondamentalisti, vale a dire coloro che ghettizzati ed emarginati finiscono per radicalizzarsi.

Lo sappiamo bene: anche in questo caso parlare di terrorismo va bene, se consideriamo però che oggi prendere un camion e gettarlo tra la folla di un mercatino nel periodo di Natale costituisce un atto di guerra, un modo di combatterci attraverso la guerriglia urbana, imprevedibile e vile perché colpisce civili apolitici e non ostili a nessuno.

Teniamo conto sempre che quando un conflitto si trasferisce dal livello convenzionale a quello popolare assume i caratteri di un odio razzista verso la civiltà, in specie la nostra, ossia verso le nostre nazioni, verso le nostre comunità e verso ciò che significa il nostro modo d’essere.

Diciamo la verità. Il problema della sicurezza non è cosa esclusiva da codice penale, ma riguarda una cultura troppo libertaria, troppo concessiva, poco rigorosa e relativista nei suoi fondamenti. Se non si difende e sostiene, anzitutto capendola, la propria identità, il rischio è che si produce la migliore condizione per essere defraudati dei valori umani più profondi, regredendo alle barbarie di coloro che non sono parte di noi e non sono dotati di medesimi riferimenti etici, e tuttavia vengono ospitati ormai senza più tante buone ragioni.

Ecco allora che è da qui che bisogna partire per comprendere, che bisogna muoversi per prevenire, che dobbiamo agire per difenderci. Chi ti odia ti colpisce dove sei debole. E le nostre società sono permeabili, traforate da flussi migratori incontrollati, da una sostanziale incapacità di determinare un controllo capillare del territorio. L’Unione Europea non è incisiva nella politica estera, semplicemente perché non ne ha una che sia tale, e gli Stati sono indeboliti e incapaci di gestire i flussi di migranti.

Nei fondamentalisti vi è la consapevolezza che noi non siamo in grado di essere duri, che la nostra mentalità è aperta, che tradiremmo noi stessi come popolo europeo se divenissimo particolaristici e chiusi, ma purtroppo adesso questa situazione intollerabile ha il nome crudo di una guerra, il cui scenario non è mondiale ma globale.

Davanti a tutto questo, l’Italia non è stata ancora colpita, ma soprattutto il nostro Paese ha ancora una situazione sociale che non è giunta al punto estremo di aver nazionalizzato milioni di persone straniere e di aver creato intere città metropolitane di suburbani nei quali non si distinguono più gli amici dai nemici, e nei quali si allevano sacche di discriminati.

Il Servizi di pubblica sicurezza hanno fatto un lavoro enorme, la politica adesso deve fare il suo. Non possiamo ragionare con logica di pace quando si è in una situazione di guerra; e, ancor più, non si può e deve trasformare con accoglienze dissennate un conflitto mastodontico in una guerra civile interna ai territori e ai confini nazionali.

È giunto il momento già da tempo di dare un giro di vite alle accoglienze, perché il punto è questo. C’e chi fa i soldi con le accoglienze e poi piange i morti per strada. Se mai ci sarà un attentato in Italia, Dio ce ne scampi e liberi, ad eseguirlo non sarà certo un italiano. Almeno per ora. Questo è un fatto.

Dunque è chiaro che se nessun uomo vive da solo, ma sta sempre collegato alle proprie comunità, è impellente che evitiamo di creare oggi le condizioni per avere domani un mondo infernale anche in casa nostra.

L’Europa è costituita da comunità nazionali, la cui creazione è stata lenta e il cui principio è il tempo e il luogo è il territorio. Non possiamo pensare che tutto ciò non debba essere tutelato e che noi possiamo diventare luoghi senza Patria e suoli su cui si può indisturbati prendere un camion e uccidere persone umane e nostri connazionali.

La vera sfida della politica di domani non è fronteggiare con il nazionalismo selvaggio e illiberale questa Prima Guerra Globale, ma difendere la vera e concreta nostra libertà da una falsa e astratta libertà che rischia di essere non una salvezza per i profughi ma un incentivo alla violenza e un principio di autodistruzione.



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