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Mps, ecco fatti, numeri e misteri sul Monte dei Paschi di Stato

def, Pier Carlo Padoan

Non sarà un pranzo di gala il salvataggio statale del Monte dei Paschi di Siena, che ora andrebbe ribattezzato Monte dei Paschi dello Stato.

Non sarà un pranzo di gala né per il Tesoro, che dovrà sborsare fino a 5 miliardi di euro all’incirca (ma i numeri ballano ancora), né per i risparmiatori, specie per chi detiene obbligazioni subordinate: la direttiva Brrd, che consente un intervento pubblico precauzionale in una banca per evitare crisi sistemiche, implica anche una tosatura degli obbligazionisti subordinati. La procedura denominata burden sharing che sta per aprirsi prevede infatti la conversione forzosa in azioni a un prezzo, per ora non noto, che di sicuro non sarà uguale a quello del valore investito dai risparmiatori.

L’intervento “precauzionale” nasce da un’altra misura “precauzionale”, quella richiesta dalla Vigilanza unificata della Bce, a seguito degli stress test effettuati nel luglio scorso: se, infatti, si verificasse lo scenario economico avverso definito dall’Eba, per Mps il Cet1 (il rapporto tra il livello di capitalizzazione e l’insieme dei prestiti, comprese le sofferenze) passerebbe da un Cet1 nel 2015 del 12,01% a un Cet1 a -2,23% nel 2018. “Solo in questa ipotesi non ci sarebbe il capitale sufficiente a coprire i prestiti”, ha ricordato giorni fa l’editorialista Guido Salerno Aletta su Formiche.net.

Gli errori strategici e gestionali dei vertici passati del Monte sono evidenti e sono stati sviscerati anche su Formiche.net, ma nelle ultime settimane le responsabilità hanno lambito anche istituzioni, advisor, banchieri d’affari. Ha fatto rumore il silenzio della Bce che per giorni non ha fiatato dopo le indiscrezioni della Reuters secondo cui la Vigilanza della Bce aveva risposto no alla richiesta di Mps di avere altri 20 giorni di tempo, fino al 20 gennaio, per tentare l’aumento di capitale privato. Silenzio che ha contribuito a peggiorare gli umori dei mercati.

Così come non è passata sotto silenzio – almeno su Formiche.net che lo ha sottolineato criticamente – l’atteggiamento di Jp Morgan e Mediobanca che per settimane, anzi per mesi, avevano detto urbi et orbi che sarebbero stati i garanti della ricapitalizzazione (compriamo noi le nuove azioni emesse se il mercato non le acquista, in sostanza) e poi alla chetichella e senza spiegare il come e il perché si sono sfilati lasciando il cerino ai vertici di Mps. Quei vertici – in primis l’amministratore delegato Marco Morelli – che erano in grado di condurre in un porto sicuro l’istituto di credito al contrario dell’ex capo azienda, Fabrizio Viola, silurato dal governo Renzi perché non ritenuto più all’altezza e credibile anche per i mercati dopo le ricapitalizzazioni da 8 miliardi e passa chiesti al mercato che però non hanno consentito di garantire un futuro tranquillo alla terza banca italiana.

E con le dimissioni di Matteo Renzi da presidente del Consiglio sono pure svaniti i salvatori del Qatar che erano pronti – secondo le dettagliate e forsennate cronache finanziarie degli ultimi mesi – a investire un miliardo di euro in Mps in base a non si sa bene quali scambi di cortesia con il precedente governo, come scrive oggi il Corriere della Sera.

Ma non c’è stupirsi troppo per le piroette del fondo del Qatar, basta osservare quelle del nostro Tesoro. Non ci si riferisce solo al no del governo Monti alla nazionalizzazione di Mps, ora messa in cantiere in fretta e furia, ma anche e soprattutto alla recente richiesta del Tesoro di esigere da Mps il rimborso dei Monti Bond, facendo sborsare alla banca, dal 2014 al 2015 (dunque gestione Renzi-Padoan) oltre 4 miliardi di euro di Monti-bond. Quella stessa banca che adesso, secondo lo stesso vertice di Mps, avrebbe liquidità per soli 4 mesi.

Complimenti per la lungimiranza.



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