Sarebbe esagerato dire che la foto che ritrae insieme, seduti l’uno vicino all’altro, Manuel Santos (presidente della Colombia) e Alvaro Uribe (suo predecessore nel medesimo incarico), farà la storia. Ma il fatto che davanti a loro ci fosse il Papa e la location fosse la Biblioteca del Palazzo apostolico vaticano, mostra ancora una volta quanto la Santa Sede (nel presente pontificato) intenda giocare un ruolo politico ben definito nello scacchiere globale. Santos e Uribe erano amici quasi fraterni, poi il dissidio sul negoziato con le Farc ha alimentato tensioni e procurato la rottura. Santos deciso a compiere ogni passo – anche a costo di cedere qualcosa – per raggiungere l’intesa, Uribe contrario a concessioni e a una pace che a suo dire avrebbe molto dell’appeasement.
IL NEGOZIATO CON LE FARC
Non è un mistero che la Santa Sede appoggi (e abbia appoggiato) ogni sforzo di Santos, compreso il referendum confermativo di qualche mese fa clamorosamente bocciato dalla popolazione locale. La strategia della diplomazia vaticana è sempre la medesima: nessuna ingerenza, si interviene solo se invitati a partecipare al tavolo negoziale. E’ andata così anche nel caso colombiano. Nell’aprile del 2015, furono le Forze armate rivoluzionarie del paese sudamericano (le Farc appunto) a chiedere l’intervento del Pontefice per propiziare la pace. L’idea, poi senza seguito, era di un incontro a Cuba (in terreno neutrale) durante il viaggio a Cuba del settembre successivo.
LA TRATTATIVA E LA MEDIAZIONE DI ROMA
Il Vaticano aveva prontamente smentito l’ipotesi di un incontro a tre sull’isola caraibica, pur ammettendo che la presenza di un esponente della conferenza episcopale colombiana ai colloqui sarebbe stata possibile. Lo scorso aprile, perdurando lo stallo, il capo delle Farc aveva preso carta e penna e scritto direttamente a Francesco, chiedendo un nuovo intervento del vescovo di Roma perché “la pace è a rischio”. “Pensiamo – scriveva il capo delle milizie riferendosi ad altre mediazioni papali – che la chiesa potrebbe dispiegare uno sforzo analogo in Colombia, dalla più umile parrocchia alla più alta gerarchia, e risvegliare nel cuore di quanti sono confusi la forza della pace e della riconciliazione”. Da qui al colloquio della scorsa settimana, il passo è stato breve.
IL CONGO SULL’ORLO DELLA GUERRA CIVILE
Ma sarebbe errato e superficiale legare questo “interventismo” della Santa Sede come logica conseguenza dell’appartenenza culturale del Papa alla realtà latinoamericana. Analoga mediazione, infatti, il Vaticano la sta portando avanti in un altro delicato contesto, quello della Repubblica Democratica del Congo, il più grande paese africano. I fatti: il presidente Joseph Kabila, giunto al termine del suo secondo mandato, non può più ricandidarsi, ma da mesi si rifiuta di convocare le elezioni per la scelta del successore.
LE ELEZIONI RINVIATE
“Lo farò quando saranno pronte le liste del corpo elettorale”, ha fatto sapere. Si tratta però, secondo le opposizioni, di una chiara volontà di posporre sine die il voto, dal momento che l’ultimo censimento nel paese risale al 1983. Il rischio concreto è che si torni indietro di quindici anni, quando terminò la guerra civile che lasciò sul terreno almeno cinque milioni di morti. Ecco perché la Santa Sede, su richiesta, è intervenuta.
L’APPELLO DEL PAPA E L’UDIENZA AI VESCOVI
Proprio pochi giorni fa, infatti, il Papa ha ricevuto in Vaticano il presidente della Conferenza episcopale della Repubblica democratica del Congo, mons. Marcel Utembi Tapa, accompagnato dal vicepresidente, mons. Ambongo Besungu. “Il Papa ci ha accolto con grande gioia. La prima cosa che abbiamo notato è stata che il Papa segue la nostra situazione già da tempo. Sapeva più o meno quello che sta accadendo lì da noi. La prima cosa che ha detto – ha spiegato mons. Besungu – è stata l’assicurazione della sua preghiera. Poi, il suo incoraggiamento è stato per il lavoro che noi, Conferenza episcopale, stiamo facendo per aiutare i politici a dialogare, e trovare una soluzione alla crisi di oggi”. Domenica scorsa, poi, Francesco aveva lanciato all’Angelus un appello per il Congo”.