Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

La Realpolitik che uccide

La Realpolitik è una caratteristica fondamentale dei diplomatici. Dovendosi confrontare con altri diplomatici, ognuno col proprio mandato a difesa degli interessi nazionali, non possono che cercare una via di compromesso; non esiste una soluzione ottimale, esiste solo quello che si può fare date le condizioni esistenti.

Se oggi dovessimo guardare all’Europa con gli occhi della Realpolitik, faremmo meglio a ripristinare al più presto le frontiere, tornare alle monete nazionali, e magari farci la guerra se qualche supremo interesse nazionale dovesse essere leso. Perché è lo scenario che in questo momento sembra più plausibile, visto lo stato del dibattito nell’opinione pubblica sull’Unione Europea.

Poi c’è un altro mestiere: quello degli scienziati sociali. Quelli che sono chiamati a partorire idee, ad individuare percorsi possibili quando agli altri sembrano impossibili, che fanno della forza dell’immaginazione e del dover essere uno strumento alla continua, per quanto disperata, ricerca di alleati, anche occasionali.

E ci sono i Politici, quelli con la ‘P’ maiuscola, che sanno guardare oltre il consenso immediato e cercano il modo di trasformare l’utopia in realtà; che inseguono il consenso della storia, non dei propri elettori.

Con i diplomatici lo status quo prevale, o prevale la situazione più semplice. Con gli scienziati sociali si ha sempre la sensazione che le loro indicazioni comportino fatica, complessità, sforzo. E nell’era ipertecnologica dove facciamo tutto ormai seduti davanti al computer o dallo smartphone, la fatica e lo sforzo ci sono estranei, ci disturbano. La complessità ci spaventa.

Oggi in Italia la Realpolitik sembra prevalere sulle scienze sociali, sull’immaginazione creativa, sulle responsabilità della politica. Giorgio La Malfa e Paolo Savona scrivevano sul Corriere della Sera del 27 dicembre scorso, in risposta ad una intervista a Clemens Fuest (influente Presidente dell’IFO di Monaco), che la Germania dovrebbe uscire dall’euro (non l’Italia, come sosteneva Fuest).

Una provocazione. Inutile, per giunta, visto che nessuno può uscire dall’euro senza uscire dall’Unione Europea, e che paventare l’uscita di un paese (che sia la Germania o l’Italia) diventa credibile solo se si intende sfasciare l’intera costruzione europea. Siamo sicuri che questo sarebbe nell’interesse dei cittadini italiani? La “moneta unica è un progetto politico sostanzialmente fallito”, come suggeriscono La Malfa e Savona, solo se si considerano i padri fondatori dell’euro appunto dei “sognatori”, che pensavano di inserire nel sistema della governance europea delle contradizioni per spingerla verso l’unione politica; è fallito solo se “completare l’Unione monetaria per correggere questa asimmetria”(ossia gli oneri di aggiustamento tra paesi) è, come suggeriscono ancora La Malfa e Savona, solo uno “stanco ritornello”.

L’articolo di La Malfa e Savona naturalmente colpisce nel segno di una diffusa insoddisfazione nei confronti di questa Unione Europea, delle sue inefficienze, della sua incapacità a risolvere problemi concreti, della sua totale assenza sullo scacchiere del potere mondiale. E sulle scie della ormai unanime narrativa populista, lancia l’ennesimo slogan, questo si dal sapore di uno stanco ritornello: “fuori la Germania dall’euro”!

Ma, nella logica della Realpolitik, siete sicuri che chiedere l’uscita della Germania dall’euro, e quindi dall’Unione Europea, sia realistico? Perché la Germania, che ha tratto così tanti benefici dall’euro, dovrebbe abbandonarlo? Perché dovrebbe preferire uscirne che riformarlo?

Purtroppo, non esistono scorciatoie. Non esistono semplificazioni ad un problema obiettivamente complesso, come quello di trasformare un’unione monetaria in qualcosa che certo non rientra fra i compiti della politica monetaria, ossia diventare un’unione politica. Esiste solo la possibilità di andare avanti. Perché andare indietro sarebbe una corsa verso il buio più totale.

Finora il motore dell’integrazione europea sono state le crescenti contradizioni inserite nel suo sistema.

La libera circolazione di beni e persone è possibile solo in un mercato unico. Un mercato unico non funziona senza una moneta unica. Ma una moneta unica non funziona senza un bilancio sovranazionale con poteri redistributivi. Purtroppo, questo richiede un salto costituzionale, di legittimità, come ha ben messo in evidenza la Corte Costituzionale tedesca. Per questo è così tremendamente difficile compierlo.

Ma è l’unica strada. Completare l’eurozona, o parte di essa, con le tappe previste dai documenti dei 4/5 Presidenti del dicembre 2012 e del giugno 2015. In particolare, in fretta, quella della formazione di un bilancio federale con competenze redistributive, per quanto limitate, in modo da assorbire shock asimmetrici sulla competitività dei sistemi nazionali e sulla capacità di produrre reddito, con capacità di spesa nei settori delle grandi infrastrutture, dell’innovazione e della ricerca, della politica energetica, della difesa/sicurezza, etc per assicurare il finanziamento della crescita.

Lo spread sui titoli di Stato nasce proprio da crisi di fiducia sulla tenuta della moneta unica. Se si mette in discussione l’esistenza dell’euro, lasciando intravedere che la moneta unica sia un processo reversibile, lo spread aumenta. E questo non fa il gioco dell’Italia, ma della Germania. Siamo noi a dover sopportare i maggiori costi di un aumento dello spread, non i tedeschi.

Così come le fughe di capitali e in generale i comportamenti opportunistici che alimentano insieme ai deficit commerciali i saldi del Target 2 (rendendo complessa e non sempre univoca la loro interpretazione), sono una risposta di sfiducia nel sistema.

Occorre stare molto attenti nel continuare a mettere in discussione la sopravvivenza dell’euro, anche se lo si fa solo “per scherzo”. Qualcuno potrebbe avere la tentazione di trasformarlo in realtà, pensando magari di portarsi dietro un consenso elettorale ampio. Le aspettative, in economia, contano molto più delle performance reali.

E la Realpolitik avrebbe compiuto, allora, l’ennesimo eccidio.

×

Iscriviti alla newsletter