Il 2016 si chiude con la solita fiera delle vanità politico-mediatiche. C’è naturalmente il complotto (e come poteva mancare!): questa volta è franco-germanico non pluto-giudaico (quanto al massonico sta bene anche in salsa renana). C’è poi lo strabismo della sinistra (se ancora il Pd può chiamarsi tale, dicono i suoi avversari à gauche) che spende i soldi pubblici per salvare una banca invece di combattere la povertà. C’è un governo che se la prende con la Bce anziché con chi non ha voluto investire nel Montepaschi. Ci sono autorevoli commentatori economici che attaccano la Deutsche bank confondendo i dati. Altri che insistono sul “si poteva fare prima” (quando esattamente?). C’è la ricorrente voglia di veder rotolare le teste (fuori i colpevoli!). Infine, l’eterna illusione che l’Italia possa fare quel che vuole solo che lo voglia perché non è il debito a ridurre la nostra sovranità, ma la Bundesbank o, peggio ancora, l’euro.
Tutto questo confuso chiacchierare si inserisce in un quadro politico-partitico ancor più confuso. Potremmo dire, parafrasando Manzoni, che s’odon a destra tre squilli di tromba e a sinistra rispondon tre squilli. La lunga intervista a Silvio Berlusconi su Libero, quelle a Salvini e a Crimi, ma anche le posizioni sempre più articolate (è un eufemismo sia chiaro) dentro e fuori il Pd, mostrano che tutti si stanno preparando a uno scenario proporzionalista in vista della sentenza della Corte Costituzionale, per votare nessuno dice quando: nel 2018 per Berlusconi, Grillo, la sinistra della sinistra e presumibilmente Gentiloni, al più presto per Salvini e Renzi. Votare per fare che? Contarsi, è chiaro; governare no di certo perché il proporzionale non lo consentirebbe in base agli attuali rapporti di forza e perché le idee su questo aspetto non periferico anche della democrazia, sono quanto mai pasticciate.
Tra parole e fatti c’è un fossato sempre più ampio. Cominciamo dal salvataggio pubblico del Montepaschi che resterà a un lungo una pietra miliare della polemica politica. Si è scritto, fino a farlo diventare luogo comune, che il costo sia aumentato da 5 a 8.8 miliardi. In realtà, si tratta di due cose del tutto diverse e lo ha spiegato la Banca d’Italia con una nota specifica. I 5 miliardi servivano per coprire le perdite derivate dalla vendita dei crediti dubbi (3 miliardi) e aumentare la copertura delle inadempienze probabili (2 miliardi). L’intervento diretto del governo (“precauzionale”), invece, deve rifornire la banca del capitale necessario a superare lo stress in condizioni avverse. In questo caso servono 6,3 miliardi per raggiungere la soglia dell’8% nel patrimonio di vigilanza di migliore qualità (CET1) e 2,5 miliardi per arrivare all’11.5% nel tasso di capitale totale, tenendo conto che bisogna compensare il venir meno dei titoli subordinati. Siccome 2,2 miliardi sono stati già raccolti tra i privati, il Tesoro deve mettere 6.6 miliardi.
Si può naturalmente contestare la bontà di quei parametri, o la stessa validità degli stress test, ma non c’è mistero né complotto. Prendiamo il presunto favoritismo nei confronti della Deutsche Bank. Il suo stato di salute è un problema serio, però non è zeppa di crediti marci, semmai è troppo piena di derivati che pongono problemi inquietanti, ma di altra natura. Non ha problemi per attrarre investimenti dal mercato né dal grande capitale tedesco che si stringe a coorte, a differenza da quello italiano che se la dà a gambe. La Bce, dunque, non sta seguendo un doppio standard. Semmai, come scrive il Wall Street Journal, sta testando un nuovo equilibrio attorno a una quota di capitale attorno all’8%. I requisiti minimi sono stati ridotti per il 2017 a tutte le banche, per esempio a Unicredit al quale era stato richiesto un 10%.
Il governo doveva intervenire prima nel Montepaschi? Come e quando? Lo ha fatto con i Tremonti (poi Monti) bond; forse erano troppo cari, si può discutere, ma ha cercato di dare un sostegno senza far pagare i contribuenti, in piena crisi dei debiti sovrani, nel momento in cui Roma era sotto tiro e le grandi banche straniere si stavano liberando dei titoli di stato italiani. E’ a quel punto che si poteva fare di più? Forse, ma ci siamo dimenticati che era il periodo in cui Mario Monti e Mario Draghi stavano salvando non Mps, ma l’Italia (nell’autunno 2011 era rimasta liquidità nel sistema bancario per una sola settimana)? La memoria degli uomini è corta, quella degli italiani minuscola. Quei prestiti sono stati convertiti in capitale nel 2015 e il Tesoro è diventato azionista con il 4%. Era quello il momento giusto? O il 2013 come sostiene il Fatto quotidiano, o magari la primavera scorsa come scrive la Repubblica? I soloni di San Silvestro sono divisi e se non lo sanno nemmeno loro…
Molto più seria e politicamente pesante è la domanda sollevata dalla sociologa Chiara Saraceno sulla Repubblica, cioè se non era meglio dedicare quei quattrini ad alleviare la condizione sociale dei più poveri; ma si basa anch’essa su un qui pro quo. I 6,6 miliardi sono una tantum (così è previsto) e si tratta di spese d’investimento le quali, in teoria, potrebbero dare anche utili a Pantalone (come è successo non solo in America, ma anche in Italia nel caso Banco di Napoli). Gli stanziamenti contro la povertà sono spesa corrente e, presumibilmente, dovrebbero durare nel tempo per avere effetto. Dunque, sono due misure che hanno due pesi diversi.
Infine il debito. Tutte queste polemiche non ne tengono affatto conto. I 20 miliardi di debito in più per le banche fanno salire la quota sul pil dal 133 al 134%, un aumento ancora gestibile, come ricorda Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, soprattutto se ci sarà crescita e non una nuova recessione come molti temono. In ogni caso, anche quel punto percentuale sarà il pomo della discordia con la Ue, con la Bundesbank, con i rigoristi del nord Europa. I quali magari non conoscono la lingua, ma si fanno tradurre i giornali e interpretano le polemiche attuali come una conferma che gli italiani continuano a scambiare lucciole per lanterne e, sognatori come sono, vogliono sfuggire alla realtà. Il debito? Si sposta in avanti decennio dopo decennio. Negli anni ’80 è raddoppiato rinviando il rientro agli anni ’90, quando (salvo qualche sostanzioso quanto fuggevole ritocco) è slittato al 2000, poi al 2010, adesso al 2020. E la colpa era sempre di qualcun altro: del monetarismo, di Reagan, di Soros, dell’euro, della Merkel, ora arriva Trump, e via via colpevolizzando.
Il 2016 svanisce così, con la fuga dal reale e il sonno della ragione. L’augurio per il 2017 è che non arrivino i mostri.