Pace fatta tra Enrico Mentana e Beppe Grillo? Non troppo, se si legge con attenzione il post di oggi di Enrico Mentana dopo il post scriptum pubblicato sul blog di Beppe Grillo. La polemica nasce dall’idea di una Giuria popolare invocata dal Movimento 5 Stelle per verificare la veridicità delle notizie di giornali e telegiornali (qui il link).
LA PROPOSTA DELLA DISCORDIA
Ecco il passo saliente del post della discordia: “Giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate. Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo“.
L’ANNUNCIO DELLA QUERELA
Nello stesso giorno la reazione di Enrico Mentana, direttore del tg de La7: “In attesa della giuria popolare chiedo a Grillo di trovarsi intanto un avvocato. Fabbricatori di notizie false è un’offesa non sanabile a tutti i lavoratori del tg che dirigo, e a me che ne ho la responsabilità di legge. Ne risponderà in sede penale e civile”.
LA PRECISAZIONE DI M5S
Stamattina ecco quello che è stato pubblicato sul blog di Grillo: “Ieri Mentana si è risentito per il fatto che il logo del suo Tg fosse presente nell’immagine del post che denunciava le bufale dei media italiani. Non se la prenda direttore, è stato fatto per “par condicio” per non far sfigurare troppo i suoi colleghi. E inoltre si trattava di una denuncia politica per criticare il sistema mediatico nel suo complesso. Le auguriamo di continuare a fare informazione che sia rispettosa della verità e dei cittadini ancora a lungo”.
IL POST CONCLUSIVO DI MENTANA
La precisazione ha indotto Mentana a pubblicare un altro post. Eccolo: “So che gli amanti del sangue social vorrebbero che lo scontro andasse avanti fino alle estreme conseguenze, e del resto su Twitter sta proseguendo nei miei confronti il trattamento che potrete verificare, da parte di tanti pasdaran che forse non aspettavano altro. Ma la rettifica (chiamiamola così) del M5s fa obiettivamente venir meno gli estremi per un passo giudiziario. Mi sono mosso per difendere la reputazione del tg che dirigo da un’accusa grossolana e infamante per qualunque testata, e sicuramente del tutto fuori luogo per il Tgla7. Non me ne frega niente di “fare il fenomeno”. Il mio campo è quello della libera e corretta informazione, non quello delle gare tra forzuti della politica o del web. Anche in queste 24 ore ho avuto a cuore che le notizie politiche del mio tg fossero sine ira et studio nei confronti di tutti, come è sempre stato. So che si scriverà che Grillo ha avuto paura della querela, che io ho avuto paura di perdere i telespettatori grillini, etc. Chissene, per quel che mi riguarda. Fuori dalla querelle legale resta un giudizio da parte mia duramente critico per l’idea delle giurie popolari: ai più ilari ricordano il festival di Sanremo, ai più preoccupati la Cina della Rivoluzione Culturale. Per me è solo un’idea sballata, concettualmente e fattualmente: anche il M5s ha scelto uomini suoi, e non, quando si è trattato di indicare la guida della commissione parlamentare di vigilanza o un consigliere di amministrazione Rai, seguendo criteri di competenza. Nessuno ha diritto a essere legibus solutus, ma gli organismi di garanzia non possono mai essere tribunali del popolo. Comunque, viva il libero confronto senza anatemi e liste di proscrizione. Un ultimo pensiero per i dettaglianti del veleno via web: la tonnellata di tweet infamanti (nelle intenzioni) sono riusciti a isolare, al di là degli insulti a prescindere, solo tre gravi macchie. Il 77esimo posto dell’Italia, la cui responsabilità grava evidentemente sulle mie spalle. Un vecchio tweet di Enrico Letta, che avrei avuto l’incoerenza di non querelare. E il fatto che il primo dei miei quattro figli (29 anni) è iscritto al Pd. Prove schiaccianti, direi. Come simulazione di giuria popolare poteva andare peggio”.