Incredibile ma vero, per quanto sondaggi, rilevazioni statistiche e quant’altro vadano trattati con le pinze, dopo tutti gli errori che hanno accumulato in un passato anche recentissimo. Le 5 stelle politiche non sono per niente cadenti, come ci aspettavamo che fossero dopo gli ultimi, clamorosi infortuni a Strasburgo, dove sono state mandate all’aldelà dall’omonimo gruppo liberaldemocratico, alle cui porte i grillini avevano battuto pensando di averne in tasca anche le chiavi per un accordo rivelatosi poi fasullo col presidente belga dal nome complicato da scrivere e ancor più da pronunciare.
Anche dopo quella figuraccia bestiale, e il ritorno nel gruppo antieuropeista del britannico Nigel Farage col capo cosparso di cenere, in un mercoledì fuori stagione, i grillini hanno continuato a salire in Italia in quelli che Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera definisce “orientamenti di voto”. In un mese, col 30,9 per cento, essi hanno sorpassato il Pd ancora di Matteo Renzi, sceso dal 30,3 al 30,1 per cento.
Otto decimali di punto potrebbero apparire poca cosa in un Paese e in una situazione normale. Ma notoriamente l’Italia da tempo non è normale. Se lo fosse, non avrebbe in Parlamento un movimento consistente come quello improvvisato da un comico, fra palcoscenici e reti telematiche, mandando a quel posto –per non ripetere le sue parolacce- mezzo mondo, anzi il mondo intero, a volte persino il suo, vista la facilità con la quale egli espelle e scomunica anche gli adepti.
Pagnoncelli attribuisce la sorprendente crescita elettorale, o sondaggistica, dei grillini proprio alle loro debolezze o confusioni. In pratica, dicendo e sostenendo tutto e il contrario di tutto, essi nel momento in cui perdono consensi da una parte ne guadagnano altrettanti, o di più dall’altra. Se fosse così, sinceramente ci sarebbe solo da espatriare: in Africa non è il caso, negli altri paesi d’Europa potrebbe essere difficile perché rischieremmo di essere confusi fra quelli contro i quali si costruiscono muri e si sistemano cavalli di frisia.
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Eppure ci sono fior di intellettuali e giuristi per niente spaventati dalla prospettiva di una vittoria elettorale dei grillini, pur riconoscendone i limiti di democrazia interna, di selezione di classe dirigente e di programmi. E’ il caso, per esempio, del presidente emerito, cioè fortunatamente ex, della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky. Che in una lunghissima intervista al direttore in persona del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, ha detto “evviva” alla “scoperta della politica” da parte di Grillo e amici, rammaricandosi che dal 2013, fatta eccezione evidentemente per l’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che per questo ci rimise prima l’incarico di presidente del Consiglio e poi la guida del partito, sia stato praticato contro le 5 stelle l’ostracismo, anziché la piena parlamentarizzazione. Cosa, questa, che in verità a me, modestissimo giornalista e abituale osservatore della politica, è sfuggita perché il Pd, persino quello di Renzi, non ha esitato a negoziare con i grillini voti e posti quando si è trattato, per esempio, di eleggere qualche giudice costituzionale o consigliere superiore della magistratura. E si è tentato persino di negoziare e approvare insieme leggi importanti come quella sulle cosiddette unioni civili, su cui sono stati i grillini, e non i piddini, a tirarsi indietro all’ultimo momento, facendo sospirare di sollievo gli alleati centristi di governo del Pd, riusciti così a contenere la portata del provvedimento in materia di adozioni.
Evidentemente il professore Zagrebelsky era troppo preso dai suoi altissimi e sofisticatissimi studi giuridici per farsi distrarre dalle ordinarie cronache parlamentari. E poi, non dimentichiamolo, il presidente emerito della Corte Costituzionale deve ai grillini, e al loro decisivo elettorato, la vittoria o rivincita in qualche modo personale nel referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale, dopo il rovinoso confronto televisivo da lui avuto con Renzi.
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Ci dovrebbe essere tuttavia un limite anche ad un giurista della taglia di Zagrebelsky nel trattare con una certa disinvoltura la Costituzione, di cui come giudice e poi presidente della Corte egli è stato per nove anni custode, difensore e quant’altro.
Questo limite, a mio avviso, è stato largamente, troppo largamente superato quando nell’intervista a Travaglio il professore ha condiviso, anche a Costituzione invariata, l’obbligo dei parlamentari, reclamato da Grillo, quando cambiano gruppo alla Camera al Senato perché avrebbero tradito il rapporto con i loro elettori. A nome dei quali Grillo pretende dai suoi “portavoce”, a vari livelli, multe contrattuali per centinaia di migliaia di euro.
A meno di colpevoli o colpose dimenticanze, che comunque mi dovrebbero costare l’appartenenza al mio ordine professionale, non mi risulta che sia stato soppresso o cambiato l’articolo 67 della Costituzione. Che ancora dice: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. La Nazione al maiuscolo è nel testo della Costituzione. Non è una mia concessione alla retorica.