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Cosa si dice in Israele della prima sortita di Donald Trump su Gerusalemme

A pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump come 45esimo presidente degli Stati Uniti, si comincia già a intravedere un possibile cambiamento nelle relazioni tra Usa e Israele.

“Abbiamo appena iniziato a discutere dello spostamento dell’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme”, ha affermato domenica Sean Spicer, nuovo portavoce della Casa Bianca. Le parole di Spicer arrivano dopo che per settimane l’allora segretario di Stato uscente, il democratico John Kerry, ha ribadito che il ricollocamento dell’ambasciata potrebbe provocare “un’esplosione assoluta” in Israele, nella West Bank e in tutto il Medio Oriente, si legge su Haaretz.

La scorsa settimana, poi, il giorno appena precedente l’Inauguration Day, Spicer ha anche affermato che i dettagli in merito allo spostamento della sede dell’ambasciata saranno resi noti al più presto. La dichiarazione di domenica è stata rilasciata poco prima che Trump, in qualità di presidente degli Stati Uniti, intrattenesse una conversazione telefonica con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

LA TELEFONATA TRUMP-NETANYAHU
Domenica scorsa, poco dopo la dichiarazione di Spicer, Trump e Netanyahu hanno avuto una conversazione telefonica, in cui il primo si è impegnato “ad affrontare la minaccia costituita dall’Iran, fornire supporto alla sicurezza di Israele e facilitare il processo di pace con i palestinesi”, scrive Time of Israel.
La conversazione ha dato modo di credere a molti, in Israele, che con la presidenza Trump stia per iniziare una nuova fase delle relazioni con gli Stati Uniti.

Secondo i portavoce del primo ministro israeliano, la conversazione con Trump è stata “molto familiare”, riporta Time of Israel. D’altra parte, Trump ha dichiarato alla stampa di Washington che la conversazione con Netanyahu è stata “molto piacevole”.

Durante la cerimonia di giuramento dei senior adviser della nuova amministrazione repubblicana, tenutasi proprio domenica presso l’ala est della Casa Bianca, tuttavia, Trump non ha menzionato la conversazione telefonica avuta con Netanyahu poco prima.

LA REAZIONE DI ISRAELE
In Israele la dichiarazione rilasciata da Spicer è stata accolta come una conferma definitiva allo spostamento della sede dell’ambasciata. “L’ambasciata americana è sulla strada per Gerusalemme”, è apparso in sovraimpressione durante il principale notiziario mandato in onda, in prima serata, sul canale 2 della tv israeliana.

Immediate sono state le reazioni di alcuni funzionari del governo israeliano. “Trump dimostra di essere un vero amico dello Stato di Israele, in grado di mantenere le sue promesse”, ha affermato il maggiore Nir Barkat. Ze’ev Elkin, ministro per gli affari di Gerusalemme, dando il benvenuto all’amministrazione Trump “che ha fatto delle promesse elettorali una realtà”. Lo spostamento “manderà un chiaro messaggio al mondo: Gerusalemme è capitale indivisibile dello Stato di Israele”, ha proseguito Elkin. I membri del governo israeliano fanno da tempo pressione affinché l’ambasciata venga spostata a Gerusalemme, poiché una simile decisione costituirebbe la prova tangibile del riconoscimento della città come capitale di Israele da parte di Washington.

L’esercito, la polizia e lo Shin Bet – l’agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele – hanno accolto la notizia con meno euforia, consci dell’ondata di violenza che una simile decisione scatenerebbe, come riporta Haaretz. Secondo alcuni funzionari del governo israeliano, Netanyahu avrebbe ordinato alla difesa di preparare un piano per fronteggiare l’eventuale emergenza, si legge sul quotidiano israeliano.

LA REAZIONE DEL FRONTE PALESTINESE
All’incirca due settimane prima dell’insediamento di Donald Trump, la Palestina aveva lanciato una campagna mediatica e diplomatica per mobilitare l’opinione pubblica contro lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel-Aviv a Gerusalemme.

Il presidente Mahmoud Abbas, poi, ha inviato una lettera al presidente Trump, all’omonimo russo Vladimir Putin, al primo ministro britannico Theresa May e ad altri leader, mettendoli in guardia circa le “disastrose” conseguenze e “la distruzione del processo di pace” che una tale decisione provocherebbe, si legge sul Jerusalem Post. Abbas ha anche affermato che in caso di spostamento dell’ambasciata l’Organizzazione per la liberazione della Palestina – l’Olp – rinnegherebbe il riconoscimento dello Stato di Israele.

LA MOSSA DI RE ABDULLAH II DI GIORDANIA
La posizione di Mohmoud Abbas, anche conosciuto come Abu Mazen, ha incontrato il supporto di numerosi stati arabi, primo tra tutti la Giordania, dal momento che i siti sacri di Gerusalemme si trovano sotto la giurisdizione del governo di Amman.

Il ministro giordano dei media, Mohammed al-Momani, ha dichiarato che muovere l’ambasciata americana a Gerusalemme significherebbe raggiungere un punto di non ritorno, generando “conseguenze catastrofiche”, si legge su Haaretz.

Domenica scorsa, giorno stesso in cui Spicer ha rilasciato la dichiarazione, Abbas e re Abdullah II di Giordania si sono incontrati ad Amman. Secondo quanto dichiarato dal presidente palestinese, la monarchia hascemita avrebbe approvato una serie di provvedimenti da adottare qualora Washington decidesse di spostare l’ambasciata a Gerusalemme. Sempre secondo Abbas ottenere il benestare della Giordania è stato un risultato significativo, soprattutto in vista dell’incontro che a breve vedrà impegnati il re hascemita e il presidente degli Stati Uniti.
“Mi auguro che gli Stati Uniti siano capaci di agire a un duplice livello, impedendo che l’ambasciata venga spostata a Gerusalemme, e proseguendo la strada del negoziato tra israeliani e palestinesi. Questo sarebbe il miglior contributo da parte degli Stati Uniti”, ha detto Abbas.

Un funzionario del governo palestinese, impegnato nell’incontro di domenica scorsa, ha dichiarato ad Haaretz che “quello che preoccupa la monarchia hascemita sono le ripercussioni che lo spostamento potrebbe avere all’interno della Giordania. Da qui le pressioni esercitate nei confronti di Washington e Mosca”.

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