Parlare di Italy First al pari dell’America First lanciato da Donald J. Trump, a Giulio Sapelli non piace. Proprio per niente. “E’ un paragone profondamente sbagliato e politicamente rischioso”, taglia corto il docente di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, che su queste colonne è intervenuto di recente per commentare le prime nomine del neopresidente Usa. Lo spunto arriva dall’articolo (“provocazione intellettuale”?) lanciato su Formiche.net da Stefano Cingolani, che così ha concluso le sue righe: “Italy First. Dunque. Sembra una provocazione intellettuale, tuttavia fossimo nel governo cominceremmo a farci su un pensierino. Niente isolazionismo sciocco né protezionismo autolesionista. Ma abituarsi a contare sulle proprie forze è il modo migliore per affrontare le prossime inevitabili tempeste scatenate dal nuovo disordine trumpiano”.
“ITALY FIRST? LASCIAMO PERDERE”
Risponde così il prof. Sapelli quando gli si sottopone l’ipotesi di portare nel nostro Paese, con i dovuti aggiustamenti, gli input lanciati da Trump Oltreoceano. “Lasciamo perdere Trump – dice l’economista a Formiche.net -, può essere simpatico dal punto di vista mediatico ma occorre trasmettere anche un po’ di ragionevolezza. Cingolani, persona colta che apprezzo molto, capirà bene che non faccio una critica a lui, ma a questo ragionamento che mi sembra pericoloso”.
Perché pericoloso? Sapelli la prende da lontano. “Abbiamo appena assistito ad un insediamento molto anticonvenzionale come quello di Trump alla Casa Bianca; ha attaccato sia i Repubblicani che i Democratici con quell’appello diretto al popolo; anche la visita plateale alla Cia è stata molto singolare. Di solito è il direttore della Cia che va a incontrare il nuovo presidente…. Trump sta davvero sfidando un establishment americano molto diviso al suo interno. Dietro il suo messaggio America First non c’è una forza ma una grande debolezza perché ha una parte importante dell’establishment contro. Lo testimonia la firma di un ordine presidenziale che chiede alle agenzie federali di cercare negli interstizi della legge qualsiasi occasione per diminuire l’efficacia di Obamacare. Qui c’è una lotta senza quartiere, dovuto all’eredità divisiva lasciata da Obama”. Insomma, non è il caso di replicare in Italia uno scontro istituzionale del genere.
MEGLIO IL FUNZIONALISMO A ROVESCIO
“Non prenderei l’America First come un esempio per l’Italia – suggerisce Sapelli – A noi, piuttosto, serve un Trump tranquillo e in ordine. Ci serve un ritorno all’industria di base, una riforma profonda del sistema bancario, una ripresa quieta e tranquilla di alcuni spazi di sovranità. Dobbiamo ripercorrere all’indietro il tracciato della filosofia di Jean Monnet sul funzionalismo europeo; lui, da buon elitista, sosteneva che non si poteva togliere potere e autonomia troppo rapidamente agli Stati nazionali perché i cittadini e le forze politiche se ne sarebbero accorti e si sarebbero opposti, meglio togliere in maniera graduale e funzionale dei pezzi come si è iniziato a fare con Ceca, Euratom, mercato comune, Pac, Ecu, Sme fino all’Euro”. Secondo l’economista di estrazione socialista, “l’Italia ha bisogno di un processo inverso (cioè di ridurre gradualmente le deleghe all’Unione europea, ndr) ma senza nazionalismi e sovranismi spinti, rendendosi conto che la globalizzazione non ha fallito ma ha semplicemente esaurito la sua spinta propulsiva”. E qui torna un altro concetto ripetuto a più riprese da Sapelli: il protezionismo selettivo: “Il nostro sistema economico già da tempo si è spostato sul protezionismo selettivo. Da vent’anni non facciamo accordi multilaterali, se ne fanno solo di bilaterali e infatti operazioni come il Ttip non vanno in porto; il protezionismo selettivo ora si fa con la richiesta di standard e non con i dazi. In fondo, è quel che ha fatto la Germania in Europa: ha posto standard monetari e di bilancio molto elevati”.
MA CHI SE NE FA CARICO?
Della riunione delle destre euroscettiche a Coblenza, in Germania, “dobbiamo avere assoluta paura”, sentenzia Sapelli. “Il messaggio Italy First non può essere certo quello che arriva da un raduno del genere. A noi serve un neo-funzionalismo che riacquisti sovranità nazionale per gli Stati e riempia l’Europa di democrazia parlamentare, dando un peso al Parlamento europeo che va messo al primo posto, davanti a Commissione Ue e Consiglio de’Europa”. A proposito di Parlamento europeo, Sapelli vede di buon occhio la recente elezione dell’italiano Antonio Tajani (Fi-Ppe) alla presidenza: “E’ un fatto estremamente positivo, dato che a sinistra non c’è nessuno che porta avanti quelle idee sull’Europa, bene che lo faccia lui, anche se ha ricevuto il mandato dalle forze dell’austerity”.
Il problema è il vuoto a sinistra. “Il Pd è ancora vittima del blairismo – spiega l’economista -, non ha capito che occorre riprendere alcuni spazi di sovranità. L’alternativa non è se uscire o meno dall’Euro, ma ricostruire un’Europa partendo dai Parlamenti e poi di conseguenza riacquistare spazi di sovranità monetaria. Sulla moneta unica vanno fatte riflessioni molto attente e accurate, non si può pensare a un’uscita tout-cour, magari è possibile percorrere la soluzione di doppie monete nazionali, come accaduto con l’Ecu”. Detto ciò, il “dramma” per l’Italia – Sapelli lo chiama così – è costituito dalla “assenza di una forza socialista di sinistra, in senso classico, capace di porre il tema del recupero di sovranità in termini funzionalisti. Nei partiti socialisti inglesi, francesi e tedesco si stanno interrogando su questo punto, in Italia invece no, non si trova una forza politica capace di capire nel profondo questi processi, di interpretarli e di condurli”. Di conseguenza si lascia un vuoto. Ma i vuoti, in politica, vengono subito riempiti da qualcun altro. E’ il caso delle destre euroscettiche riunite a Coblenza.