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Muro col Messico, auto, Obamacare, aborto. Tutte le prime mosse di Trump

Donald Trump

Nei primi due “working-day” allo Studio Ovale Donald Trump ha firmato una serie di provvedimenti, battendo uno a uno i punti annunciati durante la campagna elettorale. Si tratta di ordini esecutivi, ossia provvedimenti immediati che non passano per il Congresso e che sono molto usati dai presidenti per imprimere la propria direzioni all’inizio di un’Amministrazione. Iniziamo da qui.

STRINGERE SUL CONSENSO

Dal muro col Messico, al ritiro americano dall’accordo Tpp, i provvedimenti laschi sull’ambiente, le norme contro l’aborto, l’inizio dello spezzettamento dell’Obamacare, lo stop alle assunzioni statali, l’alleggerimento fiscale per le imprese, e via dicendo. In parte, secondo diversi commentatori, sono azioni d’immagine, rivolte direttamente al pubblico che l’ha votato, nella ricerca di mantenere il consenso (il messaggio: il presidente che sta lavorando è proprio lo stesso che avete votato). È una necessità dettata anche da un dato, nessun presidente ha mai iniziato il proprio mandato con così poco sostegno, dicono i sondaggi di Gallup che è l’unico nella storia a partire sotto la maggioranza (è al 45 per cento).

IL VOTO POPOLARE

Nel primo incontro con i leader del Congresso, lunedì, Trump ha detto che Hillary Clinton ha vinto il voto popolare (di oltre 2,9 milioni di preferenze) attraverso milioni di immigrati irregolari che l’hanno votata. Sono dati, “dai tre ai cinque milioni di irregolari hanno votato per Hillary” ha detto, che il New York Times (giornale spesso critico col neo-presidente, ma sulla cui autorevolezza non si può discutere) definisce letteralmente falsi. La dichiarazione è stata sostenuta anche dal portavoce Sean Spicer nel briefing giornaliero con la stampa. Spicer, che in precedenza aveva già detto che la cerimonia inaugurale era stata la più partecipata della storia nonostante le immagini dimostrassero il contrario, ed era stato difeso dalla stratega politica di Trump Kellyanne Conway (che in diretta alla NBC diceva che quelli forniti dall’amministrazione sono “fatti alternativi)”, nella stessa conferenza stampa ha detto che il team del presidente spesso non è “d’accordo con i fatti”: quando i giornalisti gli hanno chiesto di dimostrare il claim di Trump sulla vittoria della Clinton non ha risposto, ma anzi li ha attaccati – d’altronde sabato, nella prima uscita pubblica alla sede della Cia, era stato il presidente a dire che i giornalisti sono “persone disoneste”. (Gossip: Trump, dopo appena cinque giorni, già vuole sostituire il suo portavoce. Lo scrive Axios, che è un nuovo sito creato da Mike Allen, ex cofondatore di Politico e soprattutto ex titolare della più famosa newsletter sulla politica americana).

IL MURO COL MESSICO

La questione è diventato un pallino per Trump, che già dall’election day ha iniziato a battere sul proprio consenso quasi volesse legittimare una vittoria che è di per sé già legittima, nonostante la sconfitta sul voto popolare (su Twitter, il 27 novembre per esempio, ma era stato già smentito). Allo stesso tempo riprende il tema immigrati, che è un tiro retorico e serve a spingere la narrazione politica seguita da Trump. Oggi, mercoledì 25 gennaio, infatti, Trump annuncerà dalla sede del dipartimento dell’Homeland Security (un luogo, un simbolo per lui) lo sblocco dei fondi per costruire il muro che dividerà gli Stati Uniti dal Messico: “Una grande giorno per la sicurezza nazionale” (scritto in maiuscolo, così ha anticipato la decisione su Twtter, lo spazio comunicativo privilegiato dal Prez). È uno degli argomenti che sono diventati slogan della campagna elettorale: l’idea di Trump è costruire la fortificazione per impedire l’immigrazione clandestina dal Sudamerica (in realtà si tratta di un’opera già esistente, costruita per primo da Bill Clinton, che Trump vuole potenziare). Non è chiaro chi si occuperà delle spese, Trump aveva detto durante la campagna che lo avrebbe fatto il Messico, ma il presidente Enrique Peña Nieto lo aveva smentito (tra i due ci sarà un incontro a Washington il 31 gennaio). Le stime per la costruzione lungo i 2000 chilometri di confine sono di diversi miliardi di dollari (pare 10), e la leader della minoranza dem alla Camera Nancy Pelosi ha detto che secondo lei i repubblicani al Congresso non finanzieranno una così grossa spesa per il muro.

STOP AI MIGRANTI

L’ordine esecutivo sul muro messicano dovrebbe accompagnato un set di provvedimenti contro l’immigrazione, partendo dal blocco per l’ingresso ai rifugiati siriani e a tutti quelli che provengono da paesi “a rischio terrorismo” (tra questi per esempio l’Afghanistan, l’Iraq, la Somalia). Per quanto noto, la sospensione dovrebbe restare attiva fin quando l’amministrazione non strutturerà una politica adeguata per controllarli. Tutto in linea con un’altra delle promesse più forti della campagna: via gli immigrati (e tra l’altro via i musulmani, visto che si tratta di paesi islamici).

BLACK SITES CIA, MANUAL FIELD E FRATELLANZA

Da quanto appreso dai media americani in mezzo ai provvedimenti sugli immigrati finiranno, in executive orders separati, anche ordini sulla riapertura dei Black Sites della Cia, ossia dei luoghi segreti in cui l’intelligence può portare avanti detenzioni e interrogatori sotto tortura. Sul tema, è prevista anche la revisione dell’Army Field Manual, il manuale di procedure dell’esercito, per concedere ai soldati la possibilità di spingersi un po’ oltre (eufemismo) gli interrogatori sul campo. La questione è dibattuta già all’interno dell’amministrazione: Barack Obama aveva chiuso i Black Sites ritenendoli non produttivi, e sulla scarsa efficacia delle torture si era già espresso il nuovo capo del Pentagono James Mattis, mentre il neo-direttore della Cia Mike Pompeo in passata aveva avuto posizioni favorevoli. Altre due cose: la prima, Trump confermerà Guantanamo, il super carcere cubano; seconda, un ordine al dipartimento di Stato per inserire la Fratellanza musulmana tra le organizzazioni terroristiche. Con quest’ultima scelta Washington si allineerebbe all’Egitto (e agli Emirati Arabi) che hanno già inserito l’Ikhwan nelle liste del terrore: lunedì Trump e il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi hanno avuto una conversazione telefonica incentrata sulla lotta a terrorismo e radicalismo.

AMBIENTE E AUTOMOTIVE…

L’argomento protezione dei confini è quello che sta dietro, nella declinazione economico-commerciale, all’incontro di martedì tra i leader del settore automotive e lo staff del presidente. Trump ha chiesto ai massimi dirigenti di Fiat-Chrysler, General Motors, Ford, di costruire all’interno degli Stati Uniti, scoraggiando la decentralizzazione in Messico (che potrebbe essere combattuta anche con dazi). Tra i temi toccati la possibilità di andare oltre gli attuali standard ambientali imposti dall’Epa (l’agenzia per la protezione dell’ambiente) sulle emissioni: le regole ambientali “sono fuori controllo”, ha detto il presidente promettendo che si impegnerà a tagliare quelle meno importanti per rendere più facile lavorare negli Usa. Risultati già acquisiti: Toyota, la ditta giapponese numero uno per vendite, ha fatto sapere a inizio gennaio di aver pronto un piano quinquennale per investire 10 miliardi negli Stati Uniti. Trump ha imposto il silenzio media all’Epa e bloccato tutti provvedimenti pendenti, fino a nuovo ordine.

…E OLEDOTTI

Nello stesso giorno, sempre seguendo il tema ambiente, ha riaperto i lavori di due oleodotti molto discussi, il Keystone XL e il Dakota Access Pipeline. Il primo passa da Montana, South Dakota e Nebraska, ed era stato bloccato, dopo le proteste degli ambientalisti, col veto di Obama sul via libera del Congresso. Ora Trump ordina alla società TransCanada che si occupa del progetto di andare avanti, annullando la decisione precedente. Stessa cosa riguarda il Dakota: la pipeline è quasi ultimata, parte da un’area al confine tra Montana e North Dakota e arriva fino all’Illinois, attraversando il South Dakota e l’Iowa. Obama aveva bloccato la costruzione dell’ultimo tratto per le violente proteste dei nativi Sioux che a Standing Rock, in North Dakota, non volevano che l’oleodotto passasse sotto il fiume Missouri. Trump dà via libera alla Energy Transfer Partner, di cui fino a giugno possedeva delle quote, di ultimare l’opera e annulla il progetto chiesto da Obama ai genieri dell’esercito per modificare il percorso.

BONUS

Anche la riapertura dei due progetti energetici era stata annunciata in campagna elettorale. L’arroccatissimo Spicer durante la conferenza stampa di martedì ha definito la decisione “una rivoluzione energetica” che creerà molti posti di lavoro (in realtà si tratta di progetti non proprio rivoluzionari e non ideati da Trump). Sulla linea: la decisione di ritirare dal progetto multilaterale Tpp (probabilmente per iniziare a valutare attività bilaterale dirette con i partner asiatici e del Pacifico), i rumors che parlano di un possibile spostamento in primavera dell’ambasciata in Israele a Gerusalemme, la scelta di iniziare a smontare pezzo per pezzo l’Obamacare (il piano di copertura sanitaria nazionale) e quelle sull’aborto.

L’ABORTO, PARADIGMA DELLA SITUAZIONE

Trump ha bloccato i finanziamenti federali dell’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale alle ong che praticano o informano sull’interruzione di gravidanza all’estero: una decisione presa già da altri presidenti repubblicani (come Ronald ReaganGeorge W. Bush, decisione annullata rispettivamente da Bill Clinton e Barack Obama). Ora le grandi ong americane che in vari paesi sottosviluppati forniscono servizi di informazione (e pratiche) sulla prevenzione dalle malattie sessualmente trasmissibili come l’Aids, sui metodi contraccettivi e sull’aborto, dovranno scegliere se rinunciare a trattare quest’ultimo argomento oppure ai fondi federali. La reintroduzione della “Mexico City Rule”, come viene definita questa legge, permette a Trump di andare a pescare il consenso tra i conservatori pro-life, un’ampia fetta dei voti repubblicani. Questa come tutte le altre mosse è però anche molto allineata con le visioni del partito (i repubblicani sono tendenzialmente anti-abortisit), e magari sono un tentativo di riavvicinamento. Uno dei leader rep, lo speaker della Camera Paul Rayn (che sta studiando insieme con il leader al Senato Mitch McConnell un nuovo piano sanitario), tempo fa aveva detto che una delle prime cose da eliminare dell’Obamacare erano i fondi a Planned Parenthood, che è un sistema di cliniche che fornisce servizi alla donne, tra cui appunto le pratiche abortive.

 



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