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Gli italo globali che fanno bene all’Italia

Di Gabriele Caramellino

Il mondo del XXI secolo funzionerà in maniera post-ideologica. Se il XX secolo è stato il secolo delle forti contrapposizioni fra ideologie politiche diverse, il XXI secolo sarà, molto probabilmente, il secolo del pragmatismo politico ed economico, in cui si ragionerà in termini di efficacia comunicativa e resilienza dei sistemi sociali. In Italia, il passaggio al mondo post-ideologico del XXI secolo è più complicato perché il Paese ha una struttura sociale ed economica un po’ diversa da quella degli altri Paesi occidentali industrializzati.

L’Italia è un Paese che esporta prodotti di qualità nel mondo (e dovrebbe esportare ancora di più), ma è un Paese ancora abbastanza chiuso su se stesso, e questo è uno dei tanti paradossi italiani. La realtà del mondo contemporaneo può apparire anche come la realizzazione di alcune pre-visioni dell’immaginario fantascientifico: il mondo interconnesso, le mutazioni del rapporto fra esseri umani e tecnologia, le opportunità e i rischi globali sono esperienze che stiamo vivendo in questi anni.

Cosa significa essere “italo globali”? Italo globali è un modo di essere, di ragionare, di vivere. Si tratta di un concetto fluido e in perenne divenire, che mira a connettere il lato migliore dell’italianità con il flusso di innovazioni di questa epoca. Vivere in maniera italo globale significa essere attenti alle dimensioni strategiche del futuro: economia, tecnologia, finanza, imprenditorialità, creatività, innovazione sociale, ambiente, cultura, istruzione, scienza, mondo digitale. L’Italia ha accumulato ritardi nelle aree appena citate, e qualsiasi governo che abbia davvero a cuore il futuro del Paese deve agire al più presto per recuperare il gap di competitività che separa l’Italia dai Paesi che stanno entrando con più decisione nel futuro. In Italia lamentarsi è lo sport nazionale (assieme al calcio), e ci si lamenta anche della fuga di italiani che vanno a vivere e lavorare all’estero. Ma se si prova a capire meglio il mondo globalizzato – andando al di là di lamentele che non risolvono i problemi del Paese – si scopre una realtà che vale la pena di indagare: gli italo globali sono un insieme di persone molto eterogeneo, con casi di valore e altri meno rilevanti.

D’altra parte, siamo sicuri che tutti gli italiani che vivono all’estero (circa 5 milioni di persone, secondo stime attendibili) stiano vivendo molto meglio che in Italia? La questione è indubbiamente complessa: c’è sicuramente una forte responsabilità della classe politica ed economica nell’incapacità di trattenere in Italia le persone che possono far progredire il Paese; ma se al giorno d’oggi ci sono opportunità di lavoro e di vita più interessanti al di fuori dell’Italia, perché rimanere nel Paese d’origine? Sono soprattutto le generazioni più giovani – mentalmente formate con il mondo digitale del web, dove non ci sono confini geografici e culturali – a sapersi muovere meglio nel mondo globale di oggi: perché nel loro Dna, la globalizzazione è un fatto che li accompagna fin dalla nascita, e la dimensione locale non è più sufficiente a gestire la complessità del mondo di oggi. Viviamo ormai in un mondo connesso, in continua comunicazione, e non è più tempo di considerare la vita a compartimenti stagni, come invece avviene, ancora troppo spesso, nella dimensione istituzionale.

Gli italiani che vivono all’estero provengono da un Paese – l’Italia – in cui ci sono problemi economici di natura strutturale. E proprio il fatto di essere abituati ad affrontare una moltitudine di problemi, dà loro un vantaggio importante nella vita all’estero, in termini di capacità di risolvere problemi e produrre risultati. Aprirsi al mondo in maniera intelligente è una decisione che l’Italia non può continuare a rinviare: gli italiani hanno bisogno di un tenore di vita adeguato agli standard economici e sociali del XXI secolo. Vivere al ritmo del mondo implica anche diventare – in parte più o meno grande – italo globali.

Fino a oggi, gli italiani che andavano a vivere all’estero erano percepiti, dagli italiani in Italia, in due modi opposti: o erano persone coraggiose che avevano scelto di lasciare la madrepatria, oppure erano traditori della patria, che avevano scelto di andare a produrre reddito al di fuori dall’Italia. È arrivato il momento di considerarli, invece, come persone che hanno scelto di guardare alle opportunità ovunque esse si trovino. Quando si trova all’estero, un italiano ha un modo di intendere il mondo che pochi altri popoli hanno, e sulla base di questa particolare sensibilità, riesce a cogliere opportunità. La retorica sui cervelli in fuga è ormai vetusta. Lo storico francese Fernand Braudel (1902-1985) affermava che un salto di civiltà avvenisse quando fosse dimostrabile l’avanzamento dell’intersezione tra molteplici settori dell’attività umana: è ciò che sta avvenendo in questi anni, in diverse parti del mondo. Riuscirà l’Italia a vivere al ritmo del mondo? Se imboccherà con decisione la strada del futuro, avrà una possibilità di dare un avvenire alle generazioni più giovani. Se non lo farà, sarà condannata alla marginalità nello scacchiere mondiale. Per i Paesi più avanzati, gli anni dieci del XXI secolo sono il decennio di transito verso una dimensione pienamente digitale. Gli italiani che riescono a connettersi in maniera efficace alla dimensione globale hanno una marcia in più: è giunto il momento che questo fatto sia conosciuto in Italia e nel mondo.

Gabriele Caramellino (a cura di)

Italo Globali. Viaggio nell’Italia che vive al ritmo del mondo

Lupetti editore 2014

 

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