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L’imperialismo di ritorno

Ci sono due modi per garantire ai propri cittadini la soddisfazione dei loro bisogni. Uno è quello di aprirsi al commercio internazionale, scambiando i beni e servizi che ciascuno produce con maggiore capacità competitiva, in una specializzazione del lavoro che non sempre lascia tutti soddisfatti e spesso crea ineguaglianze, ma è tutto sommato un modo pacifico di trattare lo scambio.

Il secondo è quello di fare da sé, producendo in casa propria tutto quello che si riesce a produrre per rifornire il proprio mercato interno. In questa seconda ipotesi, poiché i bisogni dei cittadini normalmente sono piuttosto vasti e tendono a crescere, scatta prima o poi la fase dell’imperialismo e del colonialismo, per accaparrarsi risorse e fette di mercato fondamentali per la propria sopravvivenza autarchica.

È già successo in passato. In parte, in forme spesso sottilmente subdole, succede ancora oggi. È molto probabile che succeda ancora e sempre più in futuro. Il discorso di Trump all’inizio del suo mandato lascia pochi spazi all’incertezza sulla scelta della politica americana: “Usa first”.

D’altronde aveva iniziato la Gran Bretagna, che con la Brexit ha scelto la strada dell’autonomia rispetto al sistema di vincoli, ma anche di opportunità, offerto dall’appartenenza all’Unione Europea. Sperando di far meglio da sola. Sperando che i vecchi partner commerciali del Commonwealth siano ancora disposti a farsi garanti del sistema neocoloniale inglese. Abbiamo qualche dubbio. Ma questa è stata la loro scelta. E adesso dovranno andare fino in fondo nel perseguirla.

È questo che preoccupa davvero. Una volta scelta una delle due strade, quella della collaborazione internazionale o quella dell’isolazionismo, quella della condivisione della sovranità o quella del sovranismo nazionale, non si può tornare indietro facilmente. I costi sarebbero enormi. Va perseguita con tutte le proprie forze. E questo, naturalmente spaventa. Perché “tutte le proprie forze” implica necessariamente andare con la mente al bottone nucleare. Anche se quello della Gran Bretagna è sostanzialmente ridicolo rispetto a quello degli Usa, quando si parla di armi di distruzione di massa c’è sempre poco da ridere.

La lotta per la sopravvivenza, in un contesto di conflitto potenziale, può portare a sciagure inimmaginabili. Tanto che, al confronto, lo scontro di civiltà prefigurato da Huntington impallidisce e la previsione della fine della storia di Fukuyama sembra una fiaba per accompagnare i bambini nelle braccia di Morfeo.

Questo clima rischia di rituffarci indietro di 35 anni, quando la guerra fredda ancora decideva le sorti dell’umanità. Stiamo rischiando di buttare al macero tutto quello che era stato conquistato dal 1989 (tanto per prendere in considerazione un simbolo, ossia il crollo del muro di Berlino) ad oggi.

In tutto questo, l’Europa parte da una posizione drammatica, assolutamente perdente; incartata com’è in un sistema di governance economica e politica totalmente inefficiente, che lascia tutti in un’impasse dalla quale non si vede via d‘uscita. Divisa come oggi si mostra di fronte ai propri cittadini ed al mondo intero, l’Unione Europea non ha alcuna possibilità di agire. A quel punto, meglio disfarsi il più velocemente possibile di tutti i simboli dell’Unione, che ci danno solo un’illusione senza alcuna speranza reale di essere parte di una potenza capace di difendere i nostri interessi; e tornare a giocare il ruolo di satelliti, a livello nazionale, di una delle grandi potenze continentali oggi sulla scena, sperando nella loro magnanimità.

L’unica alternativa, è provare a giocarsela alla pari con questo mondo di pazzi, investendo tutti i nostri sforzi nella costruzione urgente (ho detto urgente, da qui a qualche mese, non da qui a qualche anno, quando ormai sarebbe già tardi) e completa di una democrazia sovranazionale, di un soggetto cioè capace di sfruttare l’armamentario nucleare francese (la force de frappe) e 27 eserciti oggi totalmente inutili a servizio della propria diplomazia; con idee chiare sulla direzione della politica estera, di difesa, di sicurezza; per fare politica economica interna ed internazionale, oltre che tessere alleanze solide, con alle spalle un potenziale militare convincente. Che, in tempi non pacifici, in ultima istanza, è l’unica cosa che conta davvero.

Per trasformarla in una genuina ed efficace democrazia sovranazionale ovviamente serve che un gruppo di paesi, tra cui Francia e Germania, sfruttando appieno il Trattato di Lisbona (con cooperazioni rafforzate e strutturate permanenti) e dando avvio parallelamente ad un nuovo percorso costituzionale, condividano le competenze sulla politica estera, di difesa e di sicurezza, e quelle di bilancio, demandandole ad un sistema di istituzioni rappresentative della volontà degli Stati (il Consiglio) e dei cittadini europei (il Parlamento), abolendo il diritto di veto come sistema decisionale collettivo.

Per arginare il dilagare dell’imperialismo di ritorno, questa è l’unica possibile soluzione.

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