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I miti da sfatare per chi cerca lavoro nel Regno Unito

Di Teresa Pastena

Il numero di italiani – giovani e meno – che ha lasciato il Belpaese per tentare la fortuna in terra albionica, o semplicemente ottenere contratti di lavoro più vantaggiosi, è drasticamente aumentato negli ultimi anni. Con un livello di disoccupazione pari al 4,9% e un mercato che pullula di offerte di lavoro, la comunità italo-inglese si colloca attualmente al terzo posto per numero di richieste di National insurance number (l’equivalente del codice fiscale, obbligatorio per poter accedere al mercato del lavoro); dopo rumeni e polacchi, ci siamo noi nella terra di sua maestà (dati Ons, Office for national statistics, aggiornati a giugno 2016).

Chi sono gli italiani che emigrano? Secondo i più recenti dati dell’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), sono per lo più i giovani con un’età inferiore ai 35 anni, che rappresentano la fetta più ampia di questa emigrazione, il 60%. Sono quei giovani che molto spesso, fortemente motivati al raggiungimento dei propri obiettivi professionali, sono pronti a rimettersi in gioco ricominciando, se necessario, dal pub o ristorante di turno. In molti criticano le scelte dei giovani italiani: in terra natia non si accettano lavori umili, all’estero lo si fa.

Quello che però molto spesso non viene detto è che, anche il più umile dei lavori nel Regno Unito, è regolamentato da contratti di lavoro, quasi sempre a tempo indeterminato, si ha diritto alle vacanze e gli stipendi vengono puntualmente pagati alla fine di ogni mese. Riceverebbero gli stessi giovani, le medesime condizioni in Italia? Probabilmente no. O almeno, questo è quanto ci viene quotidianamente riportato da chi ha deciso di lasciare l’Italia. Il lavoro al pub è inoltre un’opportunità per migliorare la conoscenza dell’inglese, molto spesso insufficiente per proporsi già in ruoli di ufficio. Ma soprattutto, è un’esperienza che consente al giovane italiano di mettere un piede nel mercato del lavoro Uk e cominciare a capire come funziona il sistema.

Il 25% degli immigrati, sempre secondo i dati Aire, ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni. Si tratta quindi in molti casi di persone già professionalmente formate e affermate, che cercano un ricollocamento in Uk. In questo caso, la ricerca di un lavoro può essere relativamente più semplice se, alle competenze tecniche acquisite negli anni, corrispondono anche delle competenze linguistiche. Quali sono gli strumenti per accedere al mercato del lavoro inglese? Sfatare qualche mito forse aiuterà ad avere una maggiore comprensione del mercato anglosassone. Conoscere fluentemente l’inglese è obbligatorio. Ancor di più, per lavori qualificati e d’ufficio. Attenzione, anche quando si cercano candidati madrelingua italiani, la conoscenza dell’inglese dovrà essere avanzata.

Il curriculum vitae in formato europass non è utilizzato nel Regno Unito. Cv e lettere motivazionali dovranno contenere informazioni precise e dettagliate circa i vostri successi professionali. Più numeri e meno cliché. Meglio essere già presenti sul territorio, salvo si tratti di profili senior o molto specializzati. Londra, ricordiamolo, non è l’Eldorado. Sono tante le storie di connazionali che sono stati in grado di costruire una propria carriera nel Regno Unito. Ci sono, però, anche tanti italiani, di cui si parla meno, per i quali l’esperienza inglese è stata tutt’altro che positiva. Il consiglio è di programmare attentamente il vostro trasferimento, cercare di capire quanto sia rivendibile la vostra professione in Uk e quali siano i requisiti che il mercato richiede. Studiate prima di partire e abbiate degli obiettivi chiari. È facilissimo perderli di vista quando sarete in Uk e il rischio è di non ottenere quanto cercavate prima della partenza.

La competizione, infine, è altissima. Ci sarà sempre qualcuno migliore di voi, che parla più lingue di quante voi ne parliate, che abbia esperienze lavorative più importanti delle vostre. Siate pronti a rimettervi in gioco, con umiltà, che siate un quadro direttivo o un amministrativo. I neo-laureati italiani partono leggermente svantaggiati rispetto ai coetanei inglesi o europei. Studiamo di più, ma abbiamo meno esperienza lavorativa. Il volontariato o un tirocinio possono quindi facilitare l’inserimento sul mercato inglese; in moltissimi casi, è un percorso quasi obbligatorio. E se è vero che la competizione è alta, è altrettanto vero che gli italiani hanno competenze che gli inglesi invidiano: creatività e capacità di risolvere problemi. Utilizziamole al meglio per la ricerca del lavoro.

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