“Un conto sono reati molto gravi come la corruzione o la concussione, tutt’altro conto – invece – è aver commesso quella che al massimo può essere considerata una bagatella“. Parola del vicedirettore di Libero Franco Bechis che – in un articolo pubblicato ieri dal quotidiano diretto da Vittorio Feltri (e pubblicato anche sul sul blog di Bechis, limbeccata.it) – ha preso posizione sulla vicenda, non solo giudiziaria, di Virginia Raggi. L’ex direttore di Italia Oggi e del Tempo non ha esitato a definire “di scarso conto” le accuse mosse al sindaco di Roma, pur sottolineando di essere deluso, politicamente parlando, per i risultati dei suoi primi mesi in Campidoglio.
Perché è convinto che si tratti solo di una bagatella?
Perché l’irregolarità che le viene contestata – nel caso nient’affatto scontato in cui dovesse essere confermata – sarebbe di natura sostanzialmente formale. E poi mi pare che dal punto di vista mediatico Raggi abbia già scontato ampiamente l’eventuale pena. Stiamo parlando di un’azione giudiziaria che la stampa ha preannunciato con mesi di anticipo.
Un sindaco potrebbe anche rivendicare, sotto il profilo politico, la scelta dei suoi collaboratori. Anzi, penso che sia molto più efficace difendersi in questo modo invece di trincerarsi dietro il rispetto di codici o regolamenti. Ma mi rendo conto che la situazione, in questo caso, è molto particolare.
Per quale motivo?
Sia internamente che esternamente. Il MoVimento 5 Stelle, in passato, non era mai stato tenero nei confronti degli esponenti politici sottoposti ad indagine. Per questa ragione, da un lato, le opposizioni si stanno scagliando contro Raggi mentre dall’altro cresce il malumore della base.
Lei ha scritto che costringere Raggi alle dimissioni sarebbe per i cinquestelle un suicidio. Perché?
E’ semplice: Roma è la più importante occasione di governare che gli elettori gli hanno concesso. Una sorta di prova del nove. Ma ora anche loro l’hanno capito: non a caso – poco prima dell’avviso di comparizione inviato a Raggi, peraltro già noto a tutti – hanno cambiato il loro codice di condotta in modo anche un po’ gesuitico, visto che sembra ritagliato apposta sulla sua posizione.
Cosa c’entra la democrazia con l’eventuale caduta di Raggi?
Il M5S deve fare un salto di qualità e rendersi conto che Raggi non è stata eletta solo dagli attivisti o dai membri dei meet-up. L’hanno scelta centinaia di migliaia di romani e a loro deve rispondere, non all’onorevole di turno, al direttorio o alla Casaleggio Associati. Pensino, tutti quanti, ad amministrare Roma nel modo migliore.
Politicamente parlando, il suo giudizio sul governo Raggi è molto meno comprensivo di quanto non lo sia a proposito delle vicende giudiziarie. E’ così?
Da cittadino romano sono deluso, in questi mesi è stato fatto poco o niente, ma nel senso letterale dell’espressione. Basta scorrere l’elenco delle ordinanze approvate finora dalla giunta. Di concreto non c’è quasi nulla, l’80% dei provvedimenti è rappresentato da nomine. In pratica, è stato fatto solo questo. Sono pochissime le decisioni che riguardano la comunità: non c’è neppure la cosiddetta misura spot che a inizio mandato ogni sindaco approva per presentarsi ai cittadini. Nel caso del predecessore di Raggi – Ignazio Marino – era stata, ad esempio, la chiusura di via dei Fori Imperiali.
Roma rappresenta il banco di prova per un eventuale governo a 5 stelle. Ma come ne sta uscendo il movimento? L’impressione è che abbiano passato gli ultimi 8 mesi a occuparsi di nomine e a litigare tra di loro.
Un po’ sì, senza dubbio. E’ il momento che quest’amministrazione si dia una svegliata. Poi certo ricordiamoci che il mandato dura cinque anni per cui – com’è logico – la cosa più giusta è aspettare la fine per tracciare un bilancio. Nel frattempo, comunque, è il caso che Raggi cominci a far vedere qualcosa ai romani.
C’entra qualcosa – a suo avviso – anche la cosiddetta costruzione dal basso del movimento? Intendo le sue origini con il concetto della cosiddetta democrazia diretta.
Il mondo a 5 stelle è fatto così. I militanti passano il tempo a litigare, a discutere e a ipotizzare non meglio precisati complotti. E’ tutto molto complicato.
In alcuni casi – soprattutto all’inizio, quando si è parlato di nomine – Raggi è sembrata voler giocare in autonomia. E’ d’accordo?
Da quel punto di vista a mio avviso ha fatto bene. Però non è possibile che abbia passato sette mesi a discutere di questi aspetti. Si tratta della condizione preliminare con cui dare avvio all’amministrazione della città. Non può volerci più di un mese per definire la squadra.
L’unico atto politico è il no alle Olimpiadi?
E’ stata sicuramente una decisione politica, ma in fin dei conti è stata quasi una non-scelta. Nel senso che ha deciso di dire no al progetto olimpico, come peraltro aveva preannunciato in campagna elettorale.
A proposito di no, adesso in ballo c’è la questione dello stadio della Roma per cui il Campidoglio, ieri, ha preso altro tempo. Come finirà secondo lei?
Alla fine secondo me si farà. Non c’è un’opposizione di carattere ideologico da parte del Campidoglio. Il problema, come noto, sono le cubature. E’ in atto una trattativa tra le parti che alla fine probabilmente si chiuderà a metà strada.
Alle ultime elezioni comunali ha votato Raggi?
Sono un cittadino romano, ma non dico che cosa voto. Posso solo dire che l’ultimo ballottaggio ha coinciso con la fine della mia scheda elettorale. Sono finiti i timbri. Visto che sono molto restio a questi adempimenti burocratici, non so quante elezioni passeranno prima che torni alle urne.