Una fonte militare interna alle Syrian Democratic Force, la milizia curdo-araba che fa da boots on the ground americani (e occidentali) in Siria contro l’Isis, ha detto alla Reuters che già si iniziano a vedere i primi effetti dell’aumento dell’impegno che l’amministrazione Trump vuole mettere nella guerra al Califfato.
CONFERME SULLA LINEA DI OBAMA
Il portavoce del raggruppamento di milizie (in cui il peso politico è forte, basta partire dal nome, e pensato come bilanciamento alle capacità militare dei curdi Ypg che ne sono la gran parte) dice che “quattro o cinque giorni fa” hanno ricevuto i primi veicoli corazzati da poter usare nella campagna verso Raqqa, la roccaforte siriana del Califfato. La stessa fonte ha poi confermato la cosa all’AFP dicendo che la decisione è stata presa dall’amministrazione Trump (come avrebbero voluto sentir dire a Washington); anche se il passaggio di mezzi era già stato progettato dall’amministrazione precedente. Si tratta di un’evoluzione importante, spiega (ma è ovvio), perché finora erano arrivate armi leggere e munizioni, qualche mitragliatrice da campo, e poco di più. Ora, sebbene siano pochi, arrivano mezzi e questo significa che c’è un aumento dell’ingaggio e del coinvolgimento, e che la Casa Bianca ha scelto di confermare i curdi e le Sdf come partner preferenziali nella lotta allo Stato islamico. “Confermare” perché il ruolo gli era già stato affidato da Barack Obama, e Trump ha scelto di rimanere sulla linea lasciando anche Brett McGurk, che ha ottimi rapporti con i curdi siriani, al posto di inviato speciale per la Coalizione “anti-Isis”: “Ci siamo incontrati con i rappresentati della nuova amministrazione” ha detto il portavoce delle Sdf, ma potrebbero essere stati le stesse persone, insomma.
I TURCHI SCONTENTI
L’altra faccia della vicenda è che la decisione sarà detestata dalla Turchia, alleato di più alto livello diplomatico e militare americano, che ritiene i curdi Ypg inclusi nelle forze democratiche siriane, un gruppo terrorista affiliato al Pkk turco, e che aveva già chiesto al presidente Donald Trump di cambiare linea.
I PROSSIMI OBIETTIVI
L’aumento dell’impegno era una delle prime richieste avanzate da Trump ai suoi generali (le richieste suonavano un po’ da favola elettorale, un ordine esecutivo firmato sabato scorso con cui il commander-in-chief dà 30 giorni di tempo ai comandanti per aver la testa del Califfo, ma in effetti un piano per incrementare l’ingaggio è già pronto sul tavolo del presidente). Intanto sono arrivati alcuni blindati, pare Gurkha di fabbricazione canadese oppure dei Guardian della IAG, e questo fa supporre che anche la possibilità dell’aumento del contingente a terra, e del suo coinvolgimento, possa non essere una questione remota. L’obiettivo è di arrivare a Raqqa isolandola, e già questo sta riuscendo (le Sdf con i 600 uomini dei reparti speciali americani che Obama aveva mandato come consiglieri a terra sono a poche decine di chilometri dalla città), poi accerchiarla e riconquistarla. La terza fase invece riguarderà il lancio di un’operazione analoga verso sud, su Deir Ezzor, seguendo probabilmente quello che viene definito il Corridoio dell’Eufrate, la striscia di terra che costeggia il fiume e porta al confine iracheno in cui il Califfato è molto forte; là i governativi siriani stanno respingendo una massiccia offensiva lanciata due settimane fa dal Califfo.
L’URGENZA DEL COMANDANTE
Domenica scorsa, nella primissima operazione condotta da Trump come comandante in capo, un team del Devgru dei Navy Seals ha condotto un blitz contro un alto operativo di al Qaeda in Yemen (nota come Aqap, la filiale incaricata degli attentati all’estero); nome: Abdulrauf al Dhahab. La missione è andata bene a metà: il leader è stato eliminato, ma un soldato americano è rimasto ucciso e tre feriti, un Osprey è stato fatto brillare dagli stessi uomini del commando dopo che era stato reso inutilizzabile sotto i colpi dei nemici, il bombardamento che ha aperto la strada al blitz ha ucciso diversi qaedisti ma ha anche colpito vari civili, tra cui alcuni bambini. Sulla vicende le fonti interne parlano con massima segretezza: non è confermabile, ma pare che l’operazione, in studio da mesi, fosse stata finora sempre rinviata perché mancava la sicurezza necessaria per compierla. Trump comunque l’ha definita “un successo”, confermando il senso di urgenza che vuole imprimere nell’azione contro il terrorismo organizzato, sia al Qaeda o IS.