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Vi racconto la neotrumpista Marine Le Pen

MARINE LE PEN

Al di là della destra e della sinistra. Marine Le Pen ha segnato lo spazio che intende occupare e ha aperto la sfida per l’Eliseo. Uno spazio nel quale incrocerà l’imprevisto, scomodo inatteso, che ha fatto irruzione sulla scena politica francese quando e come nessuno se l’aspettava: Emmanuel Macron. Anche lui si colloca al di là della destra e della sinistra. Non ha intenzione di rifondare nessuna delle vecchie famiglie politiche, ma di unire la Francia. Compito ambizioso quanto arduo perseguito, non da oggi, anche dalla leader del Front national. Uno scontro all’insegna della demolizione e della costruzione ex-novo, dunque, si profila per dare un altro assetto politico alla Quinta Repubblica.

Entrambi i contendenti hanno capito che non vale più la pena puntellare la destra e la sinistra, vecchie stamberghe nelle quali abitano soltanto fantasmi. E si regolano di conseguenza: parole d’ordine squassanti e prospettive altamente divisive, come si conviene dopo i balbettii seguiti alla fine dell’èra ideologica novecentesca.
Nel suo comizio di apertura della campagna elettorale, tenuto all’auditorium di Lione, molto “trumpista” e poco lepenista nei toni, la fascinosa Marine non ha citato nessuno dei politici che hanno segnato la vicenda francese negli ultimi due decenni: non rappresentano più nulla, non sono loro gli avversari da battere: il nemico è altrove, è nell’unionismo europeo che si oppone al patriottismo, nella tecnocrazia e nella finanza che impoverisce i popoli, nel relativismo culturale che cancella le specificità.
Prudentemente, però, non ha fatto neppure un accenno all’ “intruso” Macron. Che cosa avrebbe dovuto dire? Che il “nuovo” è lui che cavalca un liberismo mite ed una polemica contro Bruxelles ma non arriva a mettere in discussione l’Unione europea? Che al ballottaggio se la vedrà con il giovanotto di Amiens che si permise di lasciare il posto di ministro dell’Economia la scorsa estate, dopo essere già stato tante altre cose, per esempio segretario generale dell’Eliseo e stratega di Rothschild, ben prima di compiere i trentacinque anni? Non era il caso.

Si è calata nella parte che in questo momento più le si addice: quella della lepre. E Marine corre, infatti, inseguita seriamente soltanto dal velocissimo Macron che, a ridosso dello scandalo che ha segnato il destino di François Fillon, il “Penelopegate” (storiaccia di soldi pubblici finiti alla moglie dell’ex-primo ministro del quale figurava essere assistente senza in realtà esserlo), macina percentuali impressionanti nei sondaggi. I Républicains senza speranza guardano a lui, ma l’agguerrita signora ha capito che per spiazzarlo ha bisogno anche dell’anima del generale De Gaulle ed infatti l’ha citato davanti ai suoi tremila sostenitori: “Soltanto il popolo può condurre il Paese verso la luce”. E, senza esitare, ha aggiunto: “Io sono la candidata della Francia del popolo”. Da qui l’ammiccamento alla “Frexit” se le trattative per l’uscita dall’euro, tempo sei mesi, non dovessero andare a buon fine, e l’abbandono della Nato, un’alleanza insignificante ormai, “obsoleta” come dice Trump, ma non per quei Paesi dell’Est che temono ancora l’egemonia russa. Echi gollisti, propositi patriottici e prospettive nazionaliste (altro che populiste) nel richiamo al ripristino delle frontiere che le élites economico-finanziarie soprattutto vorrebbero quanto più aperte.

Già, le élites se ne stiano acquattate all’ombra delle casematte diroccate. E, magari, pur di non farla vincere, ripongano le loro speranze in Macron, al di là della destra e della sinistra naturalmente. Ma quanto potrà durare l’illusione di un cambiamento se dietro il promettente “presidenziabile” il popolo scorgerà lo stesso establishment che ha determinato la crisi francese facendola pagare ai meno abbienti, a coloro che sono più esposti ai venti che soffiano da Bruxelles e da Francoforte? Se non si cancella l’Unione e si restituisce sovranità alle nazioni l’impoverimento dell’Europa sarà destinato ad accentuarsi, dice la Le Pen. Macron non le risponde direttamente, ma la soluzione che lui propone è più mite: un’altra Unione ed un euro che non sia la bella copia del marco tedesco. Basta una ricetta del genere, elettoralmente poco incisiva, per conquistare i consensi? Forse sì; chissà.

E allora, nel dubbio, la signora del Front national che quasi certamente trionferà al primo turno, avrà bisogno di altro per sconfiggere coloro i quali – dai socialisti ai repubblicani, passando per gli eredi di una sinistra frantumata e frastornata – tenteranno di formare l’ennesimo fronte di difesa puntando per necessità su Macron. La Le Pen dovrà sperare che l’establishment si divida, come è accaduto negli Stati Uniti, che non formi più un blocco unico, che una parte di esso comprenda che la carta della “moderazione” è risibile di fronte alla minaccia islamista (non è più una questione di immigrazione: il vecchio cavallo di battaglia lepenista è superato dal terrorismo che ha piegato la Francia) e all’annientamento dell’interesse nazionale a beneficio di un’Unione europea egemonizzata dalla Germania.

Se il 26/30% dell’elettorato dovesse confermare da qui ad aprile l’intenzione di votare per Marine Le Pen, la sua prospettiva di conquistare l’Eliseo potrebbe davvero diventare concreta. Al secondo turno Macron dovrebbe riuscire a mettere insieme tutto ed il contrario di tutto pescano tra i rottami del vecchio mondo politico per superarla. Operazione possibile, ma difficilissima. Il clima è profondamente cambiato rispetto al ballottaggio tra Chirac ed il vecchio Le Pen, ma anche rispetto a quattro anni fa.
E’ più probabile che buona parte dei repubblicani gollisti si convincano che in uno scenario radicalmente sconvolto dalla crisi economica e dall’insicurezza determinata dal terrorismo islamista, l’opzione della “preferenza nazionale” possa essere tentata. Non a caso Marine Le Pen ha sostenuto una tesi ardita, ma tutt’altro che fantasiosa, mettendo sullo stesso piano i due mondialismi che sconvolgono l’Occidente, quello economico-finanziario ed il fondamentalismo islamista che non fa mistero di voler sterminare i “crociati”; il primo, ha detto, è fautore una ideologia che rifiuta tutte le regole e sottrae alla nazione i suoi elementi costitutivi, a cominciare dall’identità e dalla specificità culturale; il seconda punta alla conquista violenta dell’Europa dove le difese culturali sono deboli: indossare la minigonna in certi quartieri è diventato pericoloso, mentre sempre più donne velate si vedono in giro, ha sottolineato. E’ in atto una mutazione che potrebbe avere effetti dirompenti.

La sfida è, dunque, sul primato della nazione, sulla difesa delle ragioni del popolo contro gli interessi dell’affarismo finanziario, sulla sicurezza messa in pericolo dall’islamismo che “vuole cancellare i nostri valori”, sul capitalismo globalista che crea schiavi per produrre prodotti da vendere ai disoccupati . Quel che rimane di una sinistra “non global” potrebbe votare chi si tiene lontano da questi temi che pure hanno convinto intellettuali non certo di destra, come Zemmour, Onfray, Houellebecq, Finkielkraut, Debray a schierarsi con il fronte sovranista ben più ampio del partito della Le Pen; un fronte composito nel quale convivono laici e credenti nella convinzione che soltanto se la Francia prende coscienza dei pericoli che corre, insieme con il resto dell’Europa, la “sottomissione” può essere scongiurata.
E’ per questo che Marine Le Pen finge di ignorare i suoi avversari. Al di là della destra e della sinistra c’è solo la Francia. Forse l’Europa. Ma non questa Europa.

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