Il 1 febbraio è stato firmato il “Patto nazionale per un islam italiano” e Formiche. net ne ha parlato con uno dei firmatari, il giornalista italo-pachistano Ejaz Ahmad, partecipante della Consulta per l’islam italiano fin dalla sua origine, nel 2006, in rappresentanza del Centro Islamico Culturale D’Italia assieme al segretario generale Abdellah Redouane (nella foto). “Un patto che porta verso l’intesa, per chi lo rispetterà. Però come ha detto anche Yahya Pallavicini questa consulta è un po’ sbilanciata, a favore di troppi rappresentanti dell’Ucoii: è una responsabilità che è stata presa”.
Quali sono le ragioni secondo lei?
Nella consulta di Pisanu e Amato c’era un solo rappresentante dell’Ucoii, un medico siriano di ancona, mentre ora, con Alfano, non saprei dire perché gli è stata data tutta questa importanza, ma di certo si è esagerato un po’. E all’inizio erano addirittura sette persone, ora sono scese a cinque. Sembra che diversi professori l’abbiano voluto: Paolo Naso, Paolo Ferrari, Stefano Allievi, Massimo Campanini, che sono gli esperti che si affiancano alla consulta. E ci sono anche due musulmani. Ma una rappresentanza così forte schiaccia gli altri enti, mentre l’islam italiano significa più di 40 Paesi diversi.
In un’intervista al Corriere il presidente dell’Ucoii Izzedin Elzir ha espresso l’auspicio di “una strada” per “una riforma dell’Islam” che parta proprio dall’Italia. Lei che ne pensa della recente decisione del Marocco di eliminare la pena di morte per il reato di apostasia dell’islam?
Un’iniziativa di grande coraggio da parte del governo del Marocco, che prima ha proibito il burka e adesso permette anche di convertirsi a un’altra religione. È un passo avanti e un grande cambiamento: dovuto anche all’impegno per la pace partito dal mondo cattolico con papa Wojtyla, che ha teso la mano a questa religione, oppure al fatto che ogni anno in Italia vengono più di cento imam dal Marocco per il dialogo religioso. E la comunità marocchina è la prima in italia per numero di musulmani, più di 500 mila, al contrario dei palestinesi che sono pochi: però l’Ucoii ha le spalle coperte perché è appoggiato dai Fratelli Musulmani, che sono molto organizzati. Noi come Centro Islamico Culturale in Italia siamo attenti alle ingerenze esterne, e l’unico aiuto che chiediamo è proprio dal governo del Marocco, che ha un governo legittimo. Invece i soldi che vengono dal Qatar non sono molto trasparenti, perché è lo stesso Paese che ha aiutato Daesh.
Un’affermazione forte, di cui se ne parla già molto. Ma il tema della trasparenza dei finanziamenti poi non è previsto nel patto?
È vero, è così. Nella formazione degli imam non si imparerà la legge del Corano ma queste cose: trasparenza, sicurezza, mediazione interculturale, apertura verso le comunità non islamiche. Anche da parte delle nostre 800 moschee, che diventeranno luoghi di culto aperti e non chiusi, interagenti con le comunità locali. E ci sarà il nome e il cognome dell’imam che dovrà rispondere della propria responsabilità.
L’imam Pallavicini sostiene che il patto sia troppo centrato sul tema del terrorismo. Perciò le domando: che rapporto c’è tra mancata integrazione e rischio di terrorismo?
Personalmente posso dire che nella consulta di terrorismo non se ne è parlato per niente, o pochissimo. Il problema della radicalizzazione è un problema che certamente esiste, ma che non è legato alle moschee e alle associazioni islamiche, piuttosto al carcere o ai social media. Tuttavia penso che con la formazione degli imam si può lavorare anche sul tema della radicalizzazione dei giovani.
In che senso i social media?
Tutti i pakistani espulsi avevano una pagina Facebook dove facevano propaganda, e dove avevano la bandiera dell’Isis come foto profilo: segno che la radicalizzazione non passa per le moschee, ma direttamente sui social media. Noi pensiamo che i musulmani possano svolgere un grande ruolo contro la radicalizzazione, ma allo stesso tempo anche contro l’islamofobia, perché anch’essa sta aumentando molto: sono state trovate teste di maiale sui cancelli delle moschee, scritte islamofobiche, e anche per questo bisogna preparare gli imam, per esempio per parlare delle leggi italiane, come la legge Mancino contro il razzismo. E le racconto un aneddoto: nel mio profilo facebook di recente ho postato un’immagine che ha avuto molto successo, con la foto di un manifesto appeso da un movimento identitario a fianco di un negozio bengalese, ritraente la Natività. E ho raccontato la reazione del commerciante, che non era affatto offeso, perché l’anziano (Giuseppe) porta il turbante e la donna (Maria) il velo islamico!