Nella serata (ora di Washington) di lunedì, Keith Kellogg è diventato il nuovo capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, uno degli organi più importanti della Casa Bianca, perché è il luogo di discussione e decisione per tutte le questioni legate alla politica estera e di difesa degli Stati Uniti. Kellogg ha preso il posto di Michael Flynn, che Donald Trump aveva scelto a novembre per quel posto, ma che si è dimesso sempre lunedì a causa di un guaio tra il legale e il politico su alcuni suoi rapporti con la Russia.
LE TELEFONATE
Flynn avrebbe mentito all’Fbi che gli ha fatto domande, al vice presidente Mike Pence (facendogli poi raccontare una versione alterata in televisione) e avrebbe violato una legge molto vecchia che vieta ai cittadini americani di interferire con la politica estera di Washington. Il caso è nato per i contatti avuti da Flynn con l’ambasciatore russo in America, Sergey Kislyak, con il quale avrebbe parlato dell’abolizione delle sanzioni post-Ucraina, anche se non era tenuto a farlo (qui potrebbe esserci la violazione della Logan Act, una legge del 1799 che vieta alle persone che non fanno parte dell’amministrazione di trattare questioni diplomatiche con governi stranieri). Le conversazioni sarebbero avvenute prima dell’inaugurazione di Trump, quando Flynn era già stato nominato ma faceva ancora parte soltanto del team di transizione. Ai tempi delle telefonate, pare cinque in un solo giorno (il 29 dicembre del 2016), era ancora in carica l’amministrazione Obama, e proprio mentre Flynn parlava con Kislyak l’allora Casa Bianca decideva un’altra misura repressiva contro Mosca, connessa all’hacking durante le presidenziali. Washington ha accusato al Russia di aver sfruttato dati rubati durante atti di pirateria informatica per colpire la candidata Hillary Clinton, screditarla e aiutare la vittoria di Trump. Come punizione Barack Obama aveva deciso di espellere dal paese 35 finti-diplomatici russi, ossia agenti dell’intelligence, e sanzionare svariati ufficiali dei servizi segreti russi. Flynn al telefono con i russi avrebbe chiesto al Cremlino di non reagire (così andò, quasi a sorpresa) perché di lì a pochi giorni Trump si sarebbe insediato e le cose sarebbero cambiate.
L’INCHIESTA GIORNALISTICA
Tutto va messo al condizionale, perché queste informazioni sono state raccolte dal Washington Post, che ha prima pubblicato un articolo firmato dal fondista David Ignatius, poi ha ottenuto maggiori dati attraverso nove fonti diverse, anonime, che hanno corroborato la vicenda in un pezzo uscito il 9 febbraio. Una nota: le dimissioni di Flynn, uno dei top dirigenti dell’amministrazione americana, nascono dunque da un’inchiesta giornalistica curata da un media libero che ha ricevuto fonti e messo insieme le tracce; e questo non è poco ai tempi degli alternative facts, delle fake news, e delle persone che per informarsi leggono siti fantasiosi e cospirazionisti.
LE MENZOGNE
In piedi c’è un’inchiesta dell’Fbi, che dopo l’articolo di Ignatius si era insospettito (i sospetti nascono anche dal fatto che Flynn ha assunto spesso posizioni molto favorevoli all’apertura alla Russia, e ha avuto rapporti anche lavorativi in Russia, per esempio tenendo una conferenza pagata in un cena di gala del media del Cremlino Russia Today). La posizione di Flynn sulle telefonate è leggermente cambiata negli ultimi giorni, e le dimissioni potrebbero essere l’ultimo tassello del puzzle: inizialmente aveva detto che la telefonata era stata di circostanza (in quei giorni era caduto in Siria l’aereo che trasportava il coro dell’Armata Rossa e lui aveva fatto le condoglianze all’ambasciatore), ma non si era affrontato l’argomento sanzioni. Poi, tre giorni fa, dopo il nuovo articolo del WaPo, tramite il suo portavoce ha detto che potrebbe anche averne parlato di sanzioni, ma non se ne ricordava. Che cosa ha detto quando l’Fbi lo ha interrogato? Questo è il secondo punto legale (il primo è il Logan Act): ha mentito ai Federali? Se così fosse sarebbe un grosso reato, soprattutto se commesso da un personaggio nella sua posizione.
IL NODO POLITICO
Da qui, dalle menzogne, parte il secondo argomento: quello politico. Pence pare che abbia chiesto a Flynn come stavano le cose, e lui rispose che la conversazione avevano avuto vari temi, ma non le sanzioni. Pence ha riportato questa versione in due interviste televisive, alla CBS e alla Fox, aggiungendo quella che usciva dalla Casa Bianca come la versione ufficiale della vicenda. Fu Sean Spicer, il portavoce di Trump, a raccontarla ai giornalisti: Flynn aveva fatto gli auguri a Kislyak “dopo” il Natale ortodosso. In molti fecero notare che il Natale ortodosso si sarebbe festeggiato il 9 gennaio, e Flynn aveva chiamato il 29 dicembre. Ma questa è l’epoca degli alternative facts, si diceva, diffusi ufficialmente dalla Casa Bianca, e dunque… Colei che ha coniato il termine, è Kellyanne Conway, importante stratega politica di Trump, che non più tardi di lunedì, poche ore prima che la lettera di dimissioni di Flynn fosse rilasciata alla stampa, era in televisione (alla Nbc) a dire che il consigliere “aveva la massima fiducia dal presidente”. Dopo poco il presidente accettava le dimissioni senza nemmeno battere ciglio, e comunicando contemporaneamente il nome di Kellogg, il successore (ma non aveva piena fiducia?). Nota: lunedì anche il Cremlino, tramite il potentissimo portavoce Dmitri Pesokv, aveva detto che assolutamente Flynn e Kislyak non avevano discusso di sanzioni (e di solito quando Mosca fa certe affermazioni è vero il contrario, ndr).
IL PESO DI PENCE?
È probabile che sulla testa di Flynn possa aver pesato il potere del vice presidente. Pence era indignato dal fatto che le dichiarazioni mendaci del consigliere lo avevano portato a mentire in Tv: è un’ipotesi. Flynn era già piuttosto isolato nel cerchio interno presidenziale, perché è il portatore della linea dura e aggressiva, che era piaciuta ai fan in fase elettorale, ma che attualmente deve essere in parte addomestica per ragioni di presidenziabilità. Trump, inoltre, all’interno del Consiglio di Sicurezza nazionale, aveva già introdotto Steve Bannon, la mente politica dell’amministrazione (al quale, per inciso, pare si stia facendo un’altra cura calmierante dopo il vento preso da tutto il potere che Trump gli ha concesso). Questa ipotesi dei regolamento interno tra gruppi di potere dell’amministrazione, molto serie-Tv, viene presa in considerazione con un presupposto: Pence, e Trump, erano in buona fede e Flynn li ingannati.
E SE TRUMP E PENCE SAPEVANO?
Un altro aspetto sia politico che legale ben più grave, è invece l’eventuale coinvolgimento del presidente e del vice. Trump e Pence sapevano dei contenuti delle conversazioni di Flynn? Se la risposta fosse affermativa, allora significherebbe che entrambi hanno mentito, e hanno cercato contatti con i russi prima di entrare in ufficio. Per questo i democratici hanno chiesto che il Congresso apra una commissione di inchiesta da affiancare a quella legale condotta dall’Fbi. E se fosse stata la Casa Bianca a chiedere a Flynn di mentire all’Fbi? Una delle tante storie non confermabili che si stanno costruendo intorno a questa (grossa) vicenda riguarda l’ex ministro della Giustizia ad interim, Sally Yates, segata da Trump ufficialmente come “traditrice” perché contraria al ban su immigrati e ingressi. Yates, attraverso i suoi uomini, pare che avesse avvisato la Casa Bianca sul comportamento mendace di Flynn, ma non fu ascoltata (oppure, ma qui siamo completamente nell’ambito delle speculazioni dietrologiste, anche per questo fu sollevata dall’incarico?). Flynn è uno dei più longevi importanti collaboratori di Trump dai tempi della campagna e per questo doveva essere premiato con un ruolo di primo piano. Si sapeva però che aveva con la Russia un rapporto ambiguo, e, forse, anche per tale ragione gli era stata affidata una posizione che non richiedeva il vaglio del Congresso? Tre giorni fa la Cia ha negato la clearance per accedere a informazioni Sensitive Compartmented Information (le più riservate) a Robin Townley, l’ex Marine che Flynn aveva scelto per guidare l’ufficio Africa del NSC. Il direttore delle Cia aveva approvato la decisione dei suoi uomini, e si sosteneva che la negazione fosse da ricollegare a Flynn. Forse l’intelligence temeva che una volta in mano a Twonley le informazioni passassero sotto e Flynn e poi finissero chissà dove?