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I sondaggi e le responsabilità della politica

In un articolo di qualche giorno fa, Sandro Pagnoncelli racconta con tono preoccupato che l’indice di favore degli italiani nei confronti dell’Unione Europea e della moneta unica è drasticamente crollato, tanto da essere passati da un sostanziale sostegno ad un aperto dissenso: “solo un italiano su tre ha un’opinione positiva” (Link).

Analizzando con grande attenzione l’andamento storico dei dati, Pagnoncelli ci dice inoltre che il favore dell’opinione pubblica nei confronti dell’Europa è crollato a partire dal 2002, ossia “da quando entra in funzione l’euro”.

Eh no, caro Pagnoncelli. In questo modo non si fa altro che replicare e tramandare ai posteri delle clamorose falsità. Vediamo di smontarle una volta per tutte.

L’euro esiste dal 1° giugno 1998, entra in funzione dal 1° gennaio 1999 e in circolazione dal 1° gennaio 2002. Noi ce ne accorgiamo quindi solo nel 2002, quando ce lo troviamo in tasca, ma in realtà è già in vita da almeno tre anni! Le lire che teniamo nel portafoglio in quel periodo altro non sono che “pezzi di euro”. In quegli anni, grazie alle aspettative positive dell’ingresso nella moneta unica, si assiste ad una discesa rapida e senza precedenti del costo del denaro, che diminuisce di circa 4 punti percentuali, facendoci risparmiare circa 50 miliardi di euro l’anno in conto interessi sul debito pubblico. Miliardi che purtroppo vengono subito fatti sparire per aumentare la spesa pubblica, per sostenere amici e conniventi, per alimentare le clientele. Ma nessuno se ne accorge.

Nel 2001, il governo appena insediatosi abolisce presso le prefetture gli osservatori sul changeover, quelli cioè che avrebbero dovuto verificare che i commercianti rispettassero il cambio di 1936,27 lire contro 1 euro, per evitare che qualcuno facesse il furbo. In assenza degli osservatori, nel giro di qualche mese si assiste così al raddoppio dei prezzi che tutti abbiamo sperimentato e che la maggior parte di noi non ha potuto far altro che subire, con stipendi invece rigorosamente agganciati a quel cambio. È colpa dell’euro? Non direi proprio; ma nell’immaginario collettivo questa concomitanza di eventi ha rappresentato un colpo di grazia all’immagine della moneta unica.

Sempre nel 2001 abbiamo l’attacco terroristico dell’11 Settembre, il quale determina un’impennata del prezzo del petrolio che, al confronto, fa impallidire i dati pure drammatici dello shock petrolifero degli anni Settanta, quando nel giro di pochi mesi aumentò del 400%. Dal luglio 2001 al luglio 2008 il petrolio passa da 18 a 145 dollari al barile (un aumento di oltre l’800%)! Ma nessuno se ne accorge, anche grazie all’euro che si rivaluta contro il dollaro (la moneta con la quale paghiamo la nostra bolletta energetica) da 0,81 a 1,57 (in pratica raddoppia), proprio per assorbire lo shock petrolifero. Ma anche questo dato non viene mai sottolineato. Si preferisce guardare all’aumento del costo della vita ed imputarlo all’euro, che invece tenta disperatamente di difenderci dall’inflazione.

In quegli stessi anni inizia la campagna politica dello scaricabarile. Ogni volta che un governo è costretto a fare una manovra finanziaria per ripianare sprechi e prebende varie, ci viene detto che è colpa di Bruxelles o, nel migliore dei casi, che “ce lo chiede Bruxelles”.

Quando la crisi arriva davvero e l’austerità è imposta dalle regole (perverse, verissimo) di una governance economica e politica dell’Unione Europea senza una capacità decisionale collettiva, in mano al potere di veto degli Stati, prevale la visione “tedesca”, ossia l’austerità. Ma, ancora una volta, che c’entra l’euro? Semmai c’entra l’Europa, questa Europa ancora non compiuta, questo progetto rimasto a metà che non permette di avere un bilancio congruo a livello sovranazionale, e che quindi è preda della speculazione sui debiti sovrani incapaci di aumentare la spesa per difendere lo stato sociale e rilanciare gli investimenti.

Il problema non è l’euro. È, semmai, che l’euro e la Bce che lo controlla sono stati lasciati da soli a difendere gli interessi collettivi europei. Non si fa politica di crescita con la moneta. La si fa con un bilancio proprio. E con un controllo democratico sulle scelte di prelievo e di spesa. Tutte cose che a livello europeo ancora mancano, per gli egoismi degli Stati, o meglio per gli egoismi delle classi politiche al governo che mirano a difendere le proprie posizioni di potere, infischiandosene dei bisogni dei cittadini.

Perché nessuno ancora oggi spiega ai cittadini queste semplici verità? Perché si preferisce continuare a giocare col fuoco, alimentando falsi luoghi comuni e soffiando sulle ceneri di populismo e nazionalismo? Quando impareremo ad essere un paese serio, che si assume le proprie responsabilità invece di scaricarle sempre su qualcun altro? Quando sapremo distinguere e discernere criticamente quello che ci sta intorno, senza farci condizionare dagli urlatori a pagamento di turno? Quando riusciremo a indirizzare le nostre energie e il profondo bisogno di cambiamento che ci pervade nell’unica direzione sensata, ossia una profonda riforma dell’Unione Europea per trasformarla in una genuina democrazia sovranazionale capace di agire?

Le responsabilità, pericolosissime, del crollo dei consensi nei confronti dell’euro e dell’Unione Europea, stanno tutte sulle spalle delle nostri classi politiche e dei mass-media che si sono prestati a questo gioco al massacro. Speriamo che i danni causati dalle loro menzogne non siano irreversibili.


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