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Viaggio tra umori e malumori dei fan di Emiliano, Rossi e Speranza

Michele Emiliano ed Enrico Rossi

“La palla ora sta di là…”, dice sottovoce Chiara Geloni, ex direttrice della tv del partito, vicina a Pierluigi Bersani. Ma il grido di dolore che si alza dalla minoranza Pd verso Matteo Renzi è chiaro: subito una conferenza programmatica, congresso in autunno ed elezioni nel 2018. Nel frattempo facciamo una legge elettorale e una buona azione di governo, con Paolo Gentiloni. Questa è l’offerta che Enrico Rossi, Roberto Speranza e Michele Emiliano fanno al segretario durante la kermesse della minoranza del partito, convocata in un teatro nel quartiere romano di Testaccio.

Seicento i posti in sala, molti sono costretti a restare fuori e a seguire l’evento su un megaschermo montato in fretta. Ma se arrivando qui l’impressione è che la scissione viene già data per scontata – qualcuno la dà al 95% -, dalla riunione si esce con un filo di speranza (con la s minuscola) in più. Per lo meno tra Renzi, Emiliano e Speranza (con la s maiuscola) alcune telefonate ci sono state, dopo il fuorionda in cui Graziano Delrio si lamentava del fatto che l’ex premier non aveva finora alzato mai il telefono per fermare la diaspora. Telefonate non risolutive, ma comunque un inizio. Ecco, non c’è in questa kermesse l’eccitazione per l’embrione di un partito nuovo (accreditato dai sondaggi al 7%), ma semmai la tristezza per la (quasi) fine di un partito vecchio, il Pd.

Quando l’ex direttore dell’Unità Peppino Caldarola dà il via all’iniziativa e parte il coro “Enrico… Enrico…”, a qualcuno scorre un brivido lungo la schiena. Enrico è Rossi, naturalmente. “Se il congresso deve trasformarsi in una conta veloce per ridare il potere a chi ce l’ha già, per trasformare il Pd nel partito di Renzi, noi non ci stiamo”, dice il governatore toscano. Il ruolo della sinistra e del suo maggiore partito nella società, che cosa vuole essere il Pd e a chi vuole parlare, come rappresentare oggi i lavoratori e le classi deboli: questo il filo rosso dei tre interventi.

Il secondo è Roberto Speranza. Che parla di scuola, lavoro e ambiente. “Volevamo una società green e ci siamo ritrovati le trivelle e il ciaone”, afferma l’ex capogruppo, dimessosi da presidente dei deputati per i contrasti sull’Italicum. La sensazione è che tra i due popoli, questo e quello renziano, la scissione, antropologica, sia già avvenuta. “Un congresso-plebiscito a me non interessa in alcun modo. La responsabilità è di chi guida il partito, ma anche di un gruppo dirigente corresponsabile: per avere un po’ di verità bisogna sperare in un fuori onda”, continua Speranza, riferendosi alle parole rubate a Del Rio da un microfono birichino.

Infine, sale in cattedra quello che dei tre candidati alla segreteria del Pd ha maggior appeal elettorale. Michele Emiliano parla a braccio. “Tre anni fa sono stato uno dei sostenitori di Renzi, scusatemi, ma qui dentro forse non sono il solo…”, esordisce. E poi infiamma la platea. “Noi non cerchiamo un capo, ma un compagno e un amico. Rossi e Speranza sono due brave persone non solo sotto il profilo morale – questo lo do per scontato – ma perché non stanno lì a fare tatticismi, la tattica in questo senso fa schifo!”, afferma il governatore pugliese. E va avanti: “Un partito è una comunità di persone che sanno fare anche un passo indietro quando serve. Come ha fatto Bersani e pure Speranza. Un partito non è un luogo dove si gioca a calcio fiorentino, in cui dobbiamo prenderci a botte per forza. La sinistra è un’altra cosa: è popolo, è vita, è lotta alla mafia!”. E infine: “Non costringeteci ad andare via da questo partito, non è quello che vogliamo qui dentro, lo sento, ma non abbiamo paura ad andare via, se necessario…”.

Sparsi per la sala tutti i nomi della sinistra Pd, chi in prima fila e chi dietro: Bersani, D’Alema, Epifani, Zoggia, Gotor, Stumpo, Ginefra. C’è il braccio destro di Emiliano, Francesco Boccia, e un redivivo Pietro Folena. Pisapia, da lontano, fa sapere di non stare né con Renzi né con D’Alema. Nel ventre della minoranza ci sono quelli già con la testa al nuovo partito e chi invece attende con un pizzico di fiducia la riposta di Renzi all’assemblea nazionale del partito, in programma domani. E qualcuno tra i militanti accorsi in questa fresca mattinata testaccina fa notare: “Forse il segretario, in un barlume di lucidità, si sta rendendo conto che senza la sinistra il Pd diventa una scialba Dc 2.0. E chi lo vota un partito così…?”.


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