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Perché non stronco del tutto il pensiero di Beppe Grillo sui conti di Roma

Francia

Questa volta non si può non concordare con il ragioniere Giuseppe Grillo. Come lui stesso si definisce, nel video pubblicato sul blog: “Comico e ragioniere”. In entrambi i casi: nobili professioni. Del resto i dati su cui poggia il suo ragionamento, per una fortuita coincidenza (cfr. il mio libro Roma reset Una terapia contro il dissesto), collimano con quanto più volte noi stessi avevamo indicato anche su Formiche.net. Per carità: nessun plagio. Ma solo la dimostrazione ulteriore che, gratta gratta, i numeri vincono su qualsiasi ideologia. Sempre che si abbia l’umiltà di misurarsi con un dato di realtà. E solo dopo costruire quelle risposte, anche polemiche, che sono il sale della democrazia. Naturalmente ci rendiamo conto che quegli elementi del puzzle portavano, fin d’allora, acqua al mulino di chi denunciava le nefandezze del passato. Ma anche questo è un dato di realtà. Le responsabilità degli amministratori che si sono susseguiti sugli scranni di Palazzo Senatorio sono quelle che sono. Ed il loro crollo politico, conseguenza di quegli stessi errori.

Uno soprattutto: il provincialismo di chi non ha guardato a Roma con gli occhi delle altre grandi Capitali europee. Che giustamente, Beppe Grillo prende come pietre di paragone. Su un errore così evidente c’è da discutere. E l’analisi ci porterebbe lontano. Roma è stata la Capitale della Nazione solo durante il Risorgimento e l’esperienza fascista. Tant’è che se ancora oggi si circola in città, seppure malamente, lo si deve a quelle grandi opere. Dal lungotevere, agli sventramenti mussoliniani, nel mito di Haussmann (l’artefice della Parigi imperiale, a metà dell’800), e con la sola eccezione del GRA: che non significa solo “grande raccordo anulare”. Ma prende il nome – e la cosa dovrebbe far riflettere – dal suo progettista, (l’ing. Eugenio Gra) che realizzò, seppure in una diversa dimensione di scala, una vecchia intuizione, nata durante il periodo in cui Nathan fu sindaco di Roma.

Se il panorama è cambiato, all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, qualche interrogativo dovremmo pur farcelo. All’idea di Nazione abbiamo progressivamente sostituito un cosmopolitismo appannato. E di conseguenza Roma, da Capitale di un intero Paese, è regredita a semplice capoluogo di Regione. Non molto dissimile da Napoli, Firenze o Milano. Senza avere, naturalmente, le limitate incombenze di quelle pur belle città. Altro che Madrid, Londra, Parigi o Berlino. Noi aggiungiamo anche Washington DC. Dove DC significa distretto di Columbia: vale a dire un’entità istituzionale che ha un rapporto diretto e non mediato con lo Stato federale.

Il ragionamento di Beppe Grillo è speculare a questa riflessione. Nel video, il tono è, ovviamente, diverso: nutrito dalla verve comica dell’attore consumato. Ma i concetti, come le proposte, sono gli stessi. Roma, al pari delle altre Capitali europee, non può essere una patata bollente lasciata in mano dei romani. Né lo Stato centrale può cavarsela riconoscendo un onere aggiuntivo a carico del bilancio nazionale di soli 110 milioni. Com’è avvenuto durante la gestione del Prefetto Tronca. Deve investire come avviene in tutto il resto del Mondo. Perché Roma non è solo una delle più estese capitali europee – sette volte Milano – è soprattutto il biglietto da visita di un Paese, che ambisce ad essere la quinta o sesta potenza del Globo.

Né il problema si risolve con una semplice legge. Quella su “Roma Capitale” è stata solo un passo in avanti. Ma talmente piccolo da somigliare a quello del gambero. La via maestra è quella di un riassetto istituzionale che dia alla Capitale uno statuto analogo a quello delle altre capitali europee. Roma DL, distretto del Lazio (Washington o Madrid). Roma, città-Stato (Berlino). La Grande Roma (Parigi o Londra). Fate voi, ma questo è il modello dal quale è difficile prescindere. Specie se si considera la presenza del Vaticano, che nella Roma risorgimentale era solo un ostaggio nelle mura aureliane. E che nella Roma fascista aveva appena superato la soglia dell’armistizio. Quand’oggi, invece, è uno dei polmoni della città. Tante risorse in più, ma anche tanti problemi se solo si considerano quei milioni di visitatori che ogni anno si riversano lungo le strade cittadine.

A Beppe Grillo va quindi riconosciuto il merito di una diversa “visione”. Nel suo intervento coglie uno dei punti più problematici delle vicende romane. Con riflessi che spaziano in ogni campo: dall’urbanistica, ai trasporti, alla gestione dei rifiuti, alla semplice manutenzione. Problemi ai quali si contrappone un’Amministrazione pletorica e fatiscente. Giuste le denunce sui mancati introiti e l’eccesso di tassazione: di cui, del resto, avevamo già dato conto. Problema più che delicato. Si possono chiedere, infatti, maggiori risorse allo Stato centrale, ma solo dopo aver dimostrato che si è fatto il possibile per gestire al meglio i propri cespiti. Cosa che oggi non avviene: a partire dalla cura dell’immenso patrimonio immobiliare. Per non parlare poi delle somme non incassate o dei debiti fuori bilancio. O del salario di produttività distribuito a pioggia tra i 24 mila dipendenti. A prescindere da ogni altra considerazione circa la loro efficienza.

Però ci vuole coerenza. E finora questa non c’è stata. Tra i tanti errori (Marra, Muraro, Romeo, per non parlare del Capo di gabinetto e la lunga processione degli assessori al bilancio) quello che peserà di più è stato il “niet” alle Olimpiadi. Se si vuole essere Capitale della Nazione, si deve anche guardare agli interessi nazionali. E l’Italia, sul piano internazionale, non ha fatto certo una bella figura a seguito di quel rifiuto. Ben venga quindi una nuova consapevolezza, che sa anche di autocritica, ma ora attendiamo i fatti. A cominciare da quel bilancio, varato quasi un mese fa, ma di cui non si ha contezza. Dall’esame spassionato della sua impostazione si può, infatti, vedere se la tesi di Beppe Grillo è solo una “voce dal sen fuggita”. O se siamo di fronte a un ripensamento in grado di produrre un qualche risultato.



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