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Gli intrighi dietro la proposta di pace in Ucraina arrivata sul tavolo di Trump

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Domenica il New York Times ha pubblicato per primo un’indiscrezione a proposito di un piano per la pace in Ucraina orientale, dove si combatte ancora la guerra tra i separatisti filorussi del Donbass e il governo centrale – con schermaglie e brevi escalation come quelle di Avdiivka, che nel breve giro di tre telefonate diplomatiche tra i leader russi, ucraini e americani, si sono portate dietro una quarantina di morti.

“POST-MINSK”

Kiev, Washington e Mosca sono anche i protagonisti del piano di cui ha parlato il Nyt. Il ruolo di promotore dell’iniziativa spetta a un parlamentare ucraino pro-Putin eletto con il Partito radicale due anni fa, Andrey Artemenko, che si sarebbe fatto snodo per i contatti sia con Mosca che con Washington. Sorprendentemente il piano avrebbe trovato consensi da entrambi i lati. Si dice “sorprendentemente” perché la posizione finora tenuta dalla due superpotenze sulla crisi ucraina è stata diametralmente opposta: gli americani chiedono che i russi implementino definitivamente gli accordi internazionali di Minsk, i russi si impegnano al deconflicting solo a parole, perché a fatti continuano a sostenere le pretese militari dei separatisti.

I DIPLOMATICI

Il piano di pace di Artemenko è circolato tra le sale di controllo dell’amministrazione Trump tra fine gennaio e i primi di febbraio, dopo che l’ucraino ha fatto un viaggio a New York dove ha incontrato tre elementi chiavi del dossier-Russia trumpista: Paul Manafort, ex capo della campagna Trump licenziato per via di un insostenibile rapporto economico con l’Ucraina di Yanucovich, Michael Flynn, all’epoca dell’incontro ancora Consigliere per la Sicurezza nazionale (poi dimessosi per un’altra insostenibile vicenda di collegamenti con Mosca) e Michael Cohen, storico avvocato personale di Donald Trump. Secondo le ricostruzioni Cohen si sarebbe occupato personalmente di far entrare il piano-Artemenko alla Casa Bianca. Tutti e tre sono (ed erano) già sotto la lente del controspionaggio dell’Fbi, che sta indagando sui collegamenti tra Trump e la Russia.

CAPITOLO A PARTE: SATER

Il deputato della Rada a New York avrebbe anche incontrato Felix Sater, che viene considerato lo scout affaristico di Trump per la Russia, oltre che anni fa il facilitatore del progetto della Trump SoHo a Lower Manhattan, che rappresenta il principale degli affari russi della Trump Organization, con strani giri di finanziamenti di oligarchi kazaki legati al Cremlino e mossi tramite la società d’investimenti immobiliari Bayrock (dove Sater aveva lavorato). Sater è un personaggio interessante su cui vale la pena fare questa digressione, anche per come lente sui contatti che Trump ha avuto o ha ancora intorno. Nato in Urss nel 1966, ha passaporto anche americano, a vent’anni è finito in carcere per aver accoltellato un collega, poi a cavallo degli anni Novanta potrebbe aver accettato di lavorare come informatore dell’Fbi (o della Cia) in cambio di un condono su un grosso reato finanziario commesso in combutta con la famiglia Genovese, una delle Five Families della criminalità newyorkese. Che faceva Sater per l’intelligence vent’anni fa? L’operativo, in pratica: ossia aiutava gli Stati Uniti nell’acquisto di armi sul mercato nero in Russia e/o in Asia centrale, almeno secondo un vecchio articolo del Miami Herald. (Fine della digressione).

TUTTI I SOTRUDNIKI DEL PRESIDENTE

Artemenko è stato eletto con i Radicali, si definisce il Trump ucraino, ma prima della vicenda non era troppo noto. Si sa che è vicino a una blocco politico che Manafort ha contribuito a creare dopo la cacciata del presidente Viktor YanucovichManafort ha fatto da stratega per gli alleati di Yanucovich quando si sono trovati orfani del riferimento (il presidente si rifugiò in Russia dopo i moti di piazza Maidan, nel 2014) e li ha aiutati a costruire un blocco politico di opposizione al governo filo-occidentale di Kiev. Il fatto che in questo momento vengano a galla, tutti insieme, questi personaggi è un elemento da sottolineare nell’ottica delle tanto discusse connessioni Russia-Trump. Altro aspetto sui rapporti tra funzionari, quadri, consiglieri e amici del presidente: Cohen, sotto cui passano tutte le questioni delicate che Trump affronta (anche da presidente evidentemente), ha avuto tra le mani un importante dossier di politica estera; con che titolo? Cohen ha dichiarato di non sapere per che genere di mani russe fosse passato il piano di Artemenko, ma aveva capito che all’interno c’erano le prove su un episodio di corruzione che coinvolgeva il presidente ucraino Petro Poroshenko, per questo ha deciso che sarebbe stato bene sottoporlo alla Casa Bianca. E voleva farlo tramite l’ufficio di Flynn, dove era stato consegnato personalmente da Cohen una settimana prima delle dimissioni del Consigliere.

IL PIANO (IMPROBABILE?)

Il piano di pace, che in tutta questa storia sembra avere peso relativo davanti al come e da chi è stato portato a Washington, è piuttosto sbilanciato verso Mosca (e forse la promessa di prove sulla corruzione di Poroshenko è il pretesto per sbilanciare quell’equilibrio). Prevede che i russi prendano la Crimea “in leasing” per 50 o 100 anni in cambio della pace nel Donbass, e poi si convochi un referendum per chiedere alla popolazione di scegliere Kiev o Mosca. Il Cremlino ha subito smentito la notizia, sostenendo qualcosa tipo: come mai dovremmo accettare di prendere in affitto un territorio che è già nostro? “Un’assurdità” ha commentato il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. Ma l’evoluzione della storia lato Kiev fa pensare che qualcosa di vero possa esserci: il partito ha strappato la tessera di Artemenko, diventato un elemento imbarazzante, e il procuratore generale ucraino l‘ha messo sotto inchiesta per alto tradimento. Tuttavia martedì Artemenko alla Reuters ha detto di voler viaggiare a Washington per presentare il suo piano ai legislatori americani. Secondo Foreign Policy anche un altro parlamentare ucraino, Konstantin Kilimnik, tramite Manafort ha provato a fare entrare un proprio piani a Washington. E ci sarebbe anche un progetto di pace preparato da Yanucovich, almeno stando al Wall Street Journal e allo Spiegel che lo hanno intervistato.

LOBBYING DI POROSHENKO

In mezzo ai congressisti di Capitol Hill troverà opposizioni, probabilmente, anche per un ampio processo di lobbying pro-ucraina messo in piedi da Kiev. Secondo il sito Intelligence Online, pubblicazione vicina ai servizi segreti francesi e solitamente ben informata, il presidente Proshenko starebbe cercando di fare lobby nel tentativo di avvicinarsi all’entourage di Trump, al partito repubblicano e ai democratici. Poroshenko sta usando la Rasmussen Global, società di consulenza messa in piedi dall’ex segretario Nato Anders Fogh Rasmussen, che è personalmente al fianco del presidente ucraino dal giugno scorso e che ha creato un ufficio apposito per gestire il delicato cliente (sarebbe diretto dal francese Fabrice Pothier, esperto collaboratore di Rasmussen alla Nato). Rasmussen sta cercando di coinvolgere un’altra società di lobbying washingtonians, di cui è presidente un amico di lunga data del portavoce della Casa Bianca Sean Spicer. Contemporaneamente altre due linee di dialogo sono aperte con i membri dei partiti. A Washington in queste settimane si registra anche l’intensa presenza di politici ucraini che spingono la causa secondo visioni anche personali: il 2 febbraio Trump e il suo vice hanno ricevuto Yulia Tymoshenko, una delle opposizioni a Kiev. Un altro punto di contatto è la modella Oleksandra Nikolayenko, ex Miss Universo (il concorso organizzato da Trump) sposata con Phil Ruffin, un amico di vecchia data del presidente. E ancora, il businessman milionario Viktor Pinchuk, capo del gruppo per investimenti strategici EastOne, ha entrature anche tra i Clintons: da sempre ha tenuto una linea West-oriented, ma da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca ha iniziato a parlare della necessità di costruire un rapporto migliore con la Russia, tanto che all’ultimo forum di Davos Poroshenko ha saltato il tradizionale pranzo organizzato dallo Yalta European Strategy, il think tank di Pinchuk (presente invece Rasmussen).

 



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