Il dibattito sulle cause e gli effetti della circolazione di false notizie (fake news) è sempre più acceso. È colpa dei Big della Silicon Valley che ne consentono la diffusione sui social network? Abbiamo perso il “buon” giornalismo? Quanta responsabilità ha la classe politica che ne cavalca l’onda? Quali rischi stiamo correndo? Si scontrano visioni contrapposte: regolatorie, tecnicistiche e politiche. Il tutto in un contesto, quello successivo alla crisi economica globale, che ha portato a un diffuso sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni e organizzazioni tradizionali.
Sul tema della disinformazione e su come ricostruire la fiducia nell’ecosistema politico, sociale e mediatico si discuterà nel corso del dibattito organizzato dall’European Association of Communication Directors il 2 marzo a Roma, ospitato dal gruppo Enel.
Ne discuteranno: Anthony Gooch Gàlvez, direttore comunicazione e public affairs dell’Ocse, Aura Salla, adviser for communication and outreach dell’European Political Strategy Centre della Commissione Europea, Paolo Messa, membro del Cda della Rai, Luigi Contu, direttore dell’agenzia Ansa e Ryan O’Keeffe, direttore comunicazione di Enel.
L’evento sarà l’occasione per un confronto aperto tra letture diverse dello stesso fenomeno. Parlare oggi di disinformazione, infatti, significa dover affrontare temi inevitabilmente interconnessi. Tra questi, il ruolo del giornalismo tradizionale, l’uso spregiudicato dei dati e di messaggi emozionali confezionati allo scopo di influenzare l’opinione pubblica, ma anche il modello di business dei social media e le insidie delle “echo chamber”. Un fenomeno, quest’ultimo, che è sì favorito dagli algoritmi che governano le aggregazioni dei contenuti di cui fruiamo sui social network, ma che si basa sulla tendenza – studiata in psicologia sociale – a credere soltanto ai contenuti che confermano la nostra opinione.
Oggi prevale la tendenza a informarsi tramite discussioni orizzontali – che privilegiano la relazione con i propri “amici” o, più in generale, con le “persone che la pensano come me” – piuttosto che con aziende, istituzioni, governi, sempre più oggetto di sfiducia. Media, partiti politici, sindacati o associazioni vengono scavalcati in un click, così come confermano gli ultimi risultati dell’Edelman Trust Barometer. I dati evidenziano come nel 75% dei Paesi presi in esame (il sondaggio è condotto attraverso un campione di oltre 30mila persone distribuito in 28 nazioni) i governi hanno un indice di fiducia sotto il 50%. Se invece guardiamo ai media, si scende sotto la soglia di fiducia nell’82% dei Paesi coinvolti nello studio.
Di conseguenza, perdono rilevanza e autorevolezza, agli occhi delle persone, anche le informazioni e la comunicazione espressa dai media tradizionali e dagli altri soggetti istituzionali, considerati “establishment”. Il risultato? Lo sintetizza – seppur in maniera semplicistica – il nuovo uso del termine “post-verità”, che persino il British Oxford Dictionary ha decretato essere la parola dell’anno. E che la definisce per ciò che è “relativo a, o che denota, circostanze in cui fatti oggettivi risultano meno influenti nella formazione dell’opinione pubblica di quanto non lo sia fare leva su emozioni e convinzioni personali”.
In conclusione, è necessario interrogarsi sulle ragioni profonde che hanno minato la fiducia in coloro che devono garantire la corretta informazione e la civile dialettica democratica. Ma non basta. Occorre disegnare una roadmap condivisa di contro-disinformazione, che contrasti i meccanismi che mettono a repentaglio la credibilità e reputazione delle organizzazioni, aprendo così una breccia nel clima di sfiducia che avanza.
Marco Magli (head of media and external relations di Avio Aero (General Electric) e regional coordinator per l’Italia dell’European association of communication directors)
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