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Perché puzza di ideologia la guerricciola al pensiero liberale

Lingotto, 5 stelle, molestie

In un appassionato intervento sul numero odierno de La Repubblica, Giuseppe Laterza, presidente della prestigiosa casa editrice, considera una sorta di inganno quello perpetrato dai “liberali” negli ultimi decenni, in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino. Ovvero di aver predicato la “morte delle ideologie”, non considerando però la loro come tale. In verità, osserva Laterza, “in quegli stessi anni, nell’establishment occidentale si andava affermando una variante radicale del liberalismo”, facente capo alle “idee liberiste di Hayek”, secondo cui la crescita e il benessere per tutti sarebbero arrivati attraverso il libero dispiegamento degli interessi privati.“E’ questa -aggiunge Laterza- “l’ideologia che prepara la svolta politica dei Reagan e della Thatcher, una visione del mondo elaborata da agguerriti think tank, diffusa da autorevoli media e sostenuta da aziende multinazionali”.

Una ideologia che poi la storia, secondo l’autore dell’articolo, avrebbe contribuito clamorosamente a smentire nel 2007, allorquando inizia quella crisi finanziaria ed economica che viviamo ancora oggi. Una crisi “che rivela la crescita di diseguaglianze e di insicurezza sociale che le politiche legate a questo modello ideologico hanno prodotto nel mondo”.

Lasciando stare il richiamo di prassi (esso sì veramente mainstream) ai vari Eco, Sen, Atkinson, che Laterza fa per corroborare la sua tesi, ciò che subito risulta azzardato nell’analisi è il collegamento causale fra le idee di Hayek e non meglio definite politiche pubbliche liberiste che avrebbero portato alla crisi. Politiche che in verità in buona parte dell’Occidente (si pensi all’Italia) non si sono mai viste e che, per quanto si riferisce a Reagan e a Thatcher, risalgono a ben venti anni prima della crisi!

Per non dire della crescita delle diseguaglianze e della povertà globali, un vero totem “ideologico” contraddetto a livello globale da tutti i più accreditati dati statistici disponibili. Certo, la diseguaglianza è cresciuta nelle nostre società occidentali, erodendo soprattutto la classe media, ed è questo fattore che genera insicurezza  sociale e non può non preoccupare in prospettiva i liberali (la classe media è sempre stata l’ossatura delle nostre società). I problemi, come diceva quel tale, non finiscono mai: per alcuni che sorgono, altri ne scompaiono.

Ma, a fronte di questo “danno collaterale” che è nostro compito combattere, la globalizzazione librale degli ultimi anni ha generato ricchezze immense anche in vaste aree del mondo ove non ce lo saremmo mai aspettato, contribuendo fra l’altro a quasi sconfiggere la povertà assoluta e facendo sorgere solidi embrioni di classe media e società civile. In verità, la differenza fra un liberale (che non è né di destra né di sinistra ma di centro come diceva Croce) e un uomo di sinistra (quale indubbiamente è Giuseppe Laterza) è nell’accento che si pone sulla disuguaglianza (lo diceva già Bobbio).

Per il liberale la disuguaglianza può essere addirittura un valore (anche se Bobbio, figlio del suo tempo, non era disposto ad ammetterlo). Ma questo non significa che egli sia un essere insensibile: egli, semplicemente, bada soprattutto all’indice di povertà ed è disposto a mettere in atto (come proprio Hayek ci insegna) le più radicali politiche volte a contrastarla. Ciò che però più suona paradossale, nell’articolo di Laterza, è, a mio avviso, il fatto che egli abbia tanto insistito sul carattere “ideologico” di certo liberalismo dei nostri tempi (elemento che per alcuni autori o epigoni non mi sento di escludere), ma del tutto dimenticandosi dell’emergere, nello stesso periodo di tempo a cui lui fa riferimento, della vera “ideologia” del nostro tempo. Essa sì pervasiva e perniciosa, in fin dei conti per la stessa sinistra in cui è emersa e per il suo tendenziale carattere di “ideologia di massa”. Si tratta i quell’ideologia dei “diritti” che, oltre ad aver distratto la sinistra ai suoi temi classici e “sociali”, si è imposta come una sorta di pensiero unico e illiberale che ha escluso di fatto in Occidente dal dibattito pubblico che conta la voce dei diversamente senzienti e opinanti.

E’ il ”politicamente corretto”, il mainstream odierno che è stato capillarmente diffuso, dopo il Sessantotto, da giornali, case editrici, accademie, centri vari di potere culturale. E persino da quelle “multinazionali” a cui a riferimento Laterza, che, volte al profitto, nella pubblicità dei loro prodotti hanno contribuito a diffondere e a rafforzare nell’immaginario pubblico una certa visione del mondo. E’ l’idea non liberale che i diritti pertengono non agli individui, nella loro singolarità e specificità irripetibile, ma alle cosiddette “minoranze”, cioè in sostanza ai gruppi più organizzati e politicizzati.

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