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Le piroette di Donald Trump sullo Yemen

Secondo una fonte del Pentagono che ha parlato con i giornalisti David Sager ed Eric Schmitt del New York Times il raid delle forze speciali dell 29 gennaio contro un quartier generale di al Qaeda in Yemen non ha dato gli importanti risultati di intelligence sbandierati dalla Casa Bianca. Il materiale esaminato sarebbe tutto contenuto in una relazione di tre pagine consegnata al segretario alla Difesa James Mattis. Il documento è top secret, ma l’Associated Press ha avuto lo stesso qualche dettaglio: niente più di alcuni nuovi tipi di ordigni confezionati dalla filiale qaedista yemenita, nota per aver a disposizione i migliori bombaroli di tutta l’organizzazione e per essere incaricata di compiere attentati all’estero. Martedì, precedendo di poche ore il primo discorso del nuovo presidente degli Stati Uniti davanti al Congresso riunito, la NBC aveva già fatto uscire uno scoop raccolto attraverso un ufficiale dell’esercito: anche lui ha raccontato che in realtà “finora non è stata prodotto nessuna info di intelligence significativa” dalla roba raccolta nel blitz. È possibile che sia vero, e che la Casa Bianca abbia cercato di coprire un’operazione definita “disastrosa” anche da politici repubblicani come John McCain?

IL RAID

La questione è rilevante perché quello di fine gennaio è stato il primo raid ordinato personalmente dal presidente Donald Trump, una luce verde arrivata durante una cena informale con alcuni generali. Inoltre nel blitz è rimasto ucciso Ryan Owens, un operativo del Devgru dei Navy Seals, che si occupano di questo genere di missioni nel quadrante yemenita (in Siria e Iraq sono affidate alla Targeting della Delta Force). Il conflitto a fuoco in cui Owens è morto è scaturito perché i qaedisti si erano accorti dell’arrivo degli americani, e gli hanno scatenato addosso un’enorme potenza di fuoco, tale da far precipitare un Osprey da 75 milioni di dollari: nel frattempo potrebbero anche aver distrutto tutto il materiale sensibile. Secondo alcuni testimoni del villaggio di Yakla dove è avvenuto il raid, sarebbero rimaste uccisi anche 23 civili, tra cui una decina di bambini.

IL COMMIATO

Altro aspetto di interesse: uno dei principali passaggi del ~Sotu di Trump, il discorso tenuto davanti a tutto il Congresso martedì molto simile a uno Stato dell’Unione, è stato il tributo a Carryn Owens, la commossa vedova di Ryan. Il momento è stato toccante, il presidente s’è mostrato sinceramente coinvolto e la vedova è scoppiata in un pianto che si è portato dietro la standing ovation dei presenti: “Ryan è morto come ha vissuto, da soldato e da eroe, mentre combatteva il terrorismo e rendeva sicura la nostra nazione”, ha detto Trump. La presenza di Ivanka al fianco della vedova è stata una sottolineatura che aveva il compito di dimostrare quanto l’amministrazione ci tenesse all’accaduto. Trump si era recato alla Dover Air Base appena la salma del militare era rientrata negli Stati Uniti, per dare il proprio tributo al caduto: lì, il 1 febbraio, il padre del Seal, Bill Owens, s’era rifiutato di incontrarlo secondo quanto rivelato al Miami Herald da un militare presente. Trump su questo aspetto è tornato poche ore prima del discorso al Congresso, durante un’intervista su Fox News: posso capirlo, anch’io sarei stato arrabbiato, ha detto.

LA RESPONSABILITÀ

Con una specificazione, però. Parlando a Fox News il presidente ha ricalcato una linea già presa dall’amministrazione per spiegare quanto successo a fine gennaio. Il raid, definito più volte “di grande successo”, era in studio da tempo, ha spiegato, sono venuti da me i generali (“che io rispetto più di ogni altro”), hanno spiegato quello che volevano fare, “e alla fine hanno perso Ryan”. In precedenza, a inizio febbraio, il portavoce Sean Spicer aveva detto che il raid era entrato sotto procedura autorizzativa il 7 novembre, ossia il giorno prima delle elezioni presidenziali, dunque durante le ancora piene funzioni dell’amministrazione Obama. I media americani interpretano l’atteggiamento della Casa Bianca come un modo per distaccarsi dalle conseguenze negative di quanto accaduto. Trump non si è mai preso la responsabilità per quello che è successo, eppure il ruolo di presidente implica anche essere il Commander in chief, ossia il più alto in comando nella catena militare americana. Azioni come quella in Yemen sono direttamente autorizzate dallo Studio Ovale, e dunque se deve esserci un responsabile ultimi di quello che è accaduto, quello è Trump.

LE CRITICHE

Per quanto noto l’intelligence stava da mesi lavorando sul compound attaccato dalle forze speciali a fine gennaio, ma finora non aveva mai ritenuto sufficienti le informazioni e per questo il blitz era stato sempre rinviato. Non è chiaro effettivamente se al momento dell’autorizzazione di Trump ci fossero ancora dei dettagli da definire prima che il raid potesse ottenere luce verde, oppure c’era possibilità di azione, resta il fatto che il responsabile dell’attacco è Trump e che la sua non ammissione di responsabilità, finora, è sui generis. E su questo i parlamentari democratici e qualche repubblicano sta calcando la mano. Su Vox Philip Carter, ufficiale dell’esercito veterano dell’Iraq ora analista del Center for a New American Security, ha scritto che “un presidente che passa la patata bollente non è uno di cui possiamo fidarci per guidare i nostri militari o tenerci al sicuro”.

(Foto: Wikipedia)



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