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Papa Francesco e la corruzione globale

Le notizie che riceviamo ogni giorno dai media, e particolarmente in questa settimana, disegnano un quadro mondiale uniforme e malauguratamente molto negativo. In Italia l’inchiesta Consip sta coinvolgendo ampie frange della politica con antichi e nuovi connubi, tutti da dimostrare ovviamente, che però evocano traffici di influenze e intricati coacervi economici. All’estero imperversa il Russiagate che ha messo nel mirino il segretario di Stato alla Giustizia, Jeff Sessions, a causa di incontri imbarazzanti con l’ambasciatore di Mosca durante la campagna elettorale di Donald Trump. Anche in questa circostanza, ovviamente di diversa entità e portata rispetto alla nostra, siamo comunque davanti a scandali sgradevoli, conseguenze di azioni il cui ultimo fine è stato ottenere e realizzare in qualsiasi modo possibile una crescita di potere, di influenze, di prebende personali. Si può dire che tali eventi di cronaca ci offrono uno scenario complessivo deludente, che è difficile non allargare praticamente a tutti i Paesi del mondo.

A colpire non è, d’altronde, che le vicende umane vadano così – si potrebbe facilmente dimostrare che è sempre stato così da che mondo e mondo – ma il ben più interessante coinvolgimento intorno a un conflitto politico che si traduce fatalmente solo e soltanto in scopi egoistici, con il risultato di generare necessariamente un totale indebolimento delle leadership democratiche e un altrettanto radicale scivolamento dell’ordine globale in un caos permanente.

Un tempo c’erano anarchici e troskisti che buttavano le società nell’incubo del movimentismo rivoluzionario, adesso invece è la corruzione, la spregiudicatezza e spessissimo l’ignavia individualista e lobbista a farla da padrone. Al fondo di questa mia riflessione non c’è nessun moralismo, per carità, e neanche disfattismo: vale la pena semmai considerare che è la politica stessa, e forse l’ancor più generale organizzazione della vita democratica, che risulta penalizzata e soggetta a continue percussioni giudiziarie da parte di organismi legali continuamente chiamati ad essere inquisitori obiettivi o strumenti di persecuzioni, secondo le circostanze, contro assetti di potere che regolarmente ambiscono a posti di governo e di responsabilità collettiva in modo spregiudicato e vuoto.

Si può parlare, in questa direzione, di una sorta di corruzione globalizzata, un mood pervicace che, anche per la comunicazione che è anch’essa diventata globale, finisce per scuotere e stremare l’autorevolezza stessa di ogni possibile progetto politico. L’Occidente ormai si è completamente secolarizzato, ci siamo liberati con le ideologie di qualsiasi riferimento ideale e valoriale, ma i risultati oggettivi sono abbastanza sconsolanti. Se si studia la storia europea, in particolare, si nota come l’ambizione umana esiste da sempre, ma che, al contempo, il Cristianesimo ha svolto, tra le infinite debolezze personali di tutti, un ruolo chiave nel correggere, limitare e temperare i strabordanti desideri di potenza individuali.

Insomma è difficile non vedere come la perdita del riferimento culturale al Cristianesimo, il quale aveva migliorato decisamente i costumi politici precedenti, abbia fatto scivolare di nuovo la morale pubblica molto in basso e abbia prodotto una perdita di motivazione virtuosa che alla fine è diventata una licenza a perseguire quello che si vuole con tutti i mezzi legali e illegali a disposizione. Licenza illimitata e vulnerabilità personale, in definitiva, si offrono quotidianamente come uno spettacolo squallido e molto deprimente per i cittadini comuni.

Papa Francesco, alla stregua del suo predecessore, sembra avere la consapevolezza piena di questo problema, per altro, come si sa, presente anche nella Chiesa stessa. E in questa settimana d’inizio della Quaresima è intervenuto più volte per invitare a riconsiderare in termini più etici il rapporto che tutti noi abbiamo con il potere.

In una meditazione del 28 febbraio, riportata dall’Osservatore Romano, Jorge Mario Bergoglio ha spiegato come tutto il senso del Cristianesimo è riassumibile nella scelta tra la verità e la ricchezza. La pienezza della vita è collegata alla capacità di saper annientare le ambizioni smodate per ricercare la pienezza che sa abbattere il culto dell’arricchimento, facendo imboccare una strada diversa, certamente “difficile”, ma non meno necessaria e sicura.

Tale considerazione è stata ripresa poi all’udienza di mercoledì scorso, nella quale il ragionamento si è spostato sul vero significato della speranza. Il papa ha spiegato che “non si può andare in Paradiso in carrozza”. Per poter vivere umanamente con aderenza a ciò che realmente siamo, bisogna trovare la felicità nella sobrietà, lasciando perdere sogni creati unicamente dal nostro desiderio di potenza. Dal punto di vista della fede, ha aggiunto nella meditazione mattutina di ieri, la bussola non può essere un Dio astratto e disincarnato, cucito addosso alla volontà di ciascuno, ma un Dio reale, autentico, generoso, universale che tiene ognuno vicino alle sofferenze degli altri.

Un monito molto importante quest’ultimo se visto nell’ottica dell’incolmabile tendenza innata che c’è ovunque a crescere e gonfiarsi di desideri, spesso irraggiungibili onestamente, che poi diventano premesse perfette per la corruzione e la rovina di tutti. Quello che mi sembra fondamentale sottolineare, in definitiva, è che la globalizzazione senza confini si è trasformata in una corruzione senza limiti e in uno scarsissimo interesse per ciò che conta realmente dal punto di vista umano per stare bene nella vita concreta di tutti i giorni.

L’alternativa, d’altronde, al bene comune è pensare che il male stia altrove e basti separarsi dal resto del mondo per trovare una purezza moralista che nessuno possiede in esclusiva. La scommessa è sempre un’opzione etica condivisa che si presenti come una via migliore e pulita per raggiungere la felicità. Come disse Severino Boezio, nel terribile carcere in cui era stato rinchiuso nel VI secolo con l’accusa di corruzione, alla fine contano soltanto il bene e la verità: tutto il resto, se anche appare attraente, è destinato a svanire nel tempo e a renderci tragici testimoni pubblici di una sfortunata filosofia utilitarista, fatta di cattivi pensieri e di pessime ambizioni.

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