Nella prima mattinata di sabato 4 marzo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sganciato il primo di una serie di tweet, dal suo account personale, contro Barack Obama. I tweet sono diventati velocemente un caso di cronaca politica in espansione, perché Trump ha accusato Obama di averlo spiato fin dalle ultime fasi della campagna elettorale, mettendo cimici all’interno della Trump Tower di New York (che faceva da quartier generale per Trump e il suo staff). Queste affermazioni non hanno ricevuto il supporto di prove concrete, e si pensa che Trump le abbia riprese da un articolo uscito su Breitbart News, il sito dell’alt-right americana, prototrumpista, creato e fomentato dal Stephen Bannon, stratega della vittoria di Trump e ora massimo consulente politico della Casa Bianca e snodo delle dinamiche interne alla West Wing. Breitbart a sua volta ha pubblicato l’articolo sulla base di alcune informazioni diffuse i primi di marzo dal presentatore radiofonico molto conservatore Mark Levin. Nonostante l’assenza di qualsiasi genere di evidenza, Trump domenica ha fatto comunque il passo successivo: ha invitato il Congresso ad indagare su questa specifica accusa per verificare gli abusi di potere compiuti da Obama durante la sua presidenza. Abusi di cui per ora non si hanno prove e che sono stati categoricamente smentiti da molti, per esempio l’ex Director della National Intelligence James Clapper durante “Meet the Press” della NBC ha detto che non c’è stata nessuna intercettazione. Il presidente non ha mai ordinato di mettere sotto controllo i telefoni di nessuno, ha dichiarato Kevin Lewis, il portavoce di Obama. Non è stato fatto, hanno spiegato esperti, funzionari, analisti, anche perché nel sistema di check-and-balance americano questo viene evitato per impedire derive autoritarie e controlli su oppositori politici. Su Trump e sui suoi uomini indaga comunque l’Fbi per la notissima inchiesta sulle interferenze russe durante le presidenziali; alcuni elementi di primo piano della campagna Trump e dell’amministrazione sono stati sentiti dal Bureau, alcune loro conversazioni sono stato catalogate dal controspionaggio. Levin ha detto che a giugno dello scorso anno l’Fbi aveva fatto richiesta per mettere sotto controllo i telefoni di Trump, ma un tribunale la negò.
L’FBI MINIMIZZA
Nel frattempo James Comey, capo del Bureau, ha chiesto al dipartimento di Giustizia americana (da cui dipende) di smentire Trump perché le sua accuse sono infondate. Il dipartimento è guidato dal segretario Jeff Sessions che qualche giorno fa è stato costretto a ricusare sull’inchiesta che riguarda le interferenze russe perché si è scoperto che aveva avuto contatti con l’ambasciatore russo a Washington – contatti su cui aveva mentito al Congresso. Per Trump ha replicato la vice portavoce Sarah Sanders, che alla ABC ha definito inaccettabile che Comey abbia minimizzato la vicenda. Sanders ha giustificato l’accusa del presidente sostenendo che delle intercettazioni ne hanno parlato anche i media come il New York Times (che è considerato molto critico col presidente), ma in realtà nessuno ha mai scritto che Trump fosse intercettato.
L’AGENDA DEI MEDIA
Risultato dei tweet di Trump: da tre giorni in America non si parla d’altro, e, per esempio, la catastrofe di informazioni nuove uscite proprio sui contatti poco limpidi avuti dagli uomini dell’attuale presidente con funzionari russi è praticamente passata in secondo piano. Brad Jaffy, giornalista di NBC “Nigthly News”, ha riassunto ironicamente la giornata del presidente: dalle sei e mezzo di mattina ha denunciato una cospirazione che potrebbe far tremare il Watergate, poi ha twittato sui reality show (sempre sabato infatti ha avuto modo di prendersela con Arnold Schwarzenegeer, suo sostituto al reality “The Apprentice”) e poi è andato a giocare a golf (a Mar-a-Lago, il buen ritiro in Florida, dove passa i weekend). In tutto questo, ovviamente, i media inseguono. Mesi fa Eric Lipton del New York Times disse che i giornalisti dovevano smetterla di svegliarsi la mattina, aprire l’account Twitter di Trump e impostare su quello il lavoro di una giornata. Se non fosse che anche lui sabato è stato dietro alle dichiarazioni di Trump, perché sono accuse forti alzate dal presidente del più importante paese del mondo ed è inevitabile non parlarne: e proprio qui sta il punto, The Donald è in grado di condizionare giornalmente l’agenda dei media, e farli passare dai toni concilianti dopo il ~Sotu al Congresso martedì, alle critiche e investigazioni dopo sparate come quelle di sabato. Trump, inoltre, sa che questo genere di comunicazione funziona molto con i suoi fan, che rafforzano continuamente i propri convincimenti, anche e soprattutto quando lui trova un nemico contro cui magnetizzare l’attenzione e capitalizzare il consenso. Su questo, per esempio: nello stesso giorno in cui parlava con presidenzi-abilità davanti agli alti ranghi del paese riuniti al Capitol Hill, anticipava in televisione il tentativo di una cospirazione a suo danno in cui Obama faceva la parte del macchinatore dietro a tutte le fughe di notizie che intralciano la sua azione di governo.
PRENDERE APPUNTAMENTO PER SABATO
Su quello che è successo sabato c’è un aspetto molto interessante che per primo l’anchor della NBC Joe Scarborough (quello di “Morning Joe”) e poi altri giornalisti americani (tra cui Emilie Jane Fox su Vanity Fair) hanno da un po’ iniziato a notare. I messaggi più “wilder“, selvaggi, aggressivi, di Trump arrivano tutti di sabato. Stef Kight di Axios ne ha raccolto una sequenza partendo dal 21 gennaio, il giorno dopo l’inizio ufficiale della sua amministrazione: si parla degli attacchi ai media “disonesti”, delle uscite più dure contro i paesi musulmani collegate al cosiddetto “muslim ban”, delle accuse ai giudici che quel “ban” avevano bloccato, passando per una cosa strampalata a proposito dell’andamento del debito pubblico nel suo primo mese contro quello di Obama (letta probabilmente in un sito improbabile di estrema destra) di cui ha parlato il 25 febbraio, fino a due giorni fa con le accuse di aver messo in piedi un altro Watergate all’ex presidente democratico. La tesi è speculativa quanto suggestiva: Trump sceglierebbe il sabato per le mosse più aggressive perché quello è il giorno in cui Jared Kushner e Ivanka Trump rispettano lo Sabbath, la festa del riposo, durante la quale i due si allontano dalla West Wing e dalle attività lavorative (entrambi, figlia e genero, sono consulenti speciali e membri d’onore della cerchia ristretta del potere trumpiano). Ovviamente sono ricostruzioni prive di conferme dirette, però è noto che i Kushner e Ivanka siano elementi di bilanciamento interno all’amministrazione, che ha iniziato a viaggiare da subito su un doppio binario: quello delle aquile affamate di caos alla Bannon e quello dei normalizzatori. Per esempio, Trump è spostato verso la decisione di uscire dal protocollo di Parigi sul clima, Bannon è tra coloro che spinge perché gli Stati Uniti abbandonino l’accordo per avere mani più libere (come promesso in campagna elettorale), mentre dall’altro lato della barricata c’è Ivanka, che pare trovi sostegno in questa sua battaglia da Rex Tillerson, segretario di Stato molto in sordina finora.