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Come in Siria le forze aiutate dagli Usa avanzano (con tensioni) contro Isis

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La Syrian Democratic Forces (Sdf), la milizia curdo-araba che gli Stati Uniti stanno appoggiando per combattere lo Stato islamico al nord della Siria, ha tagliato l’unica strada tra Raqqa e Deir Ezzor. E questo significa che ha isolato le due principali città rimaste sotto il controllo statuale del Califfato, bloccando una via di comunicazione cruciale per l’IS: il cosiddetto “Corridoio dell’Eufrate”.

TRUMP VERSO RAQQA

I ribelli amici degli americani stanno ultimando l’accerchiamento della principale roccaforte siriana dei baghdadisti: è questo lo step conclusivo dell’attuale fase della campagna militare progettata da Washington. Isolata Raqqa, inizieranno le operazioni di riconquista. Saranno queste probabilmente le prime azioni a beneficiare della nuova strategia del Pentagono richiesta per ordine esecutivo dal presidente Donald Trump. Lunedì scorso il segretario alla Difesa James Mattis ha consegnato sul tavolo dello Studio Ovale i piani militari voluti dal Commander-in-chief (che a fine gennaio aveva dato ai generali trenta giorni di tempo per studiare un piano in grado di cacciare lo Stato islamico in giro per il pianeta, ma partendo dal Siraq). Del programma presentato da Mattis non ci sono dettagli, ma indiscrezioni di stampa raccontano che l’approccio strategico non sarà troppo diverso rispetto a quello adottato finora, voluto da Barack Obama. Il Washington Post scrive che però è possibile un aumento del numero delle forze speciali schierate sul terreno, soprattutto in Siria al fianco delle Sdf, e dell’uso su questo quadrante di più elicotteri e reparti di artiglieria. Resta che a condurre le operazioni saranno comunque i ribelli locali, che forse potrebbero anche ricevere altri armamenti.

GLI ALLEATI SCOMODI E GLI INTERESSI DI TUTTI

Il nodo degli alleati a terra resta uno degli aspetti più complicati della questione. Mentre in Iraq gli Stati Uniti appoggiano l’esercito locale nella missione per riconquistare la capitale Mosul, in Siria sono in atto altre tre campagne, contemporanee e apparentemente non coordinate su tre diversi fronti. Due sono al nord, con le Sdf che combattono nella fascia orientale, mentre più a ovest è in atto l’operazione Scudo dell’Eufrate, un’azione militare che la Turchia ha lanciato il 24 agosto e che ha portato alla liberazione di una fetta di territorio oltre il confine siriano. Il guaio è che la campagna turca (sostenuta da esercito regolare e da alcune fazioni dei ribelli, e che trova il sostegno aereo anche della Russia) è inconciliabile con le operazioni appoggiate dagli Stati Uniti, perché queste includono i curdi siriani considerati entità terroristica affiliata al Pkk da Ankara. Gli americani non sembrano nelle volontà di mollare il sostegno anche nel prossimo futuro, e in questi giorni è in piedi una situazione di tensione che vede i due principali eserciti della Nato praticamente schierati su fronti opposti dei combattimenti intra-siriani.

MANBIJ, DOVE SI MOSTRANO BANDIERE

Il luogo di tensione è la città di Manbij, riconquistata mesi fa dai curdi con tanto di immagini chiare dei militari americani che hanno appoggiato la missione. Ora ci sono foto simili dei Rangers statunitensi che sono ritornati in pattugliamento nei villaggi dell’area nordoccidentale fuori città per evitare che le forze della missione Scudo si scontrino apertamente (“apertamente” perché schermaglie sono già in atto) con i curdi che amministrano la città (nota: la amministrano su incarico degli americani, che gli hanno chiesto di essere inclusivi con gli arabi locali). La particolarità principale di queste foto è che i veicoli militari americani, Stryker e Humvee, non si muovono clandestinamente come al solito: per esempio, in un precedente set di foto scattato nel maggio scorso dal fotografo AFP/Getty Delil Souleiman, che tra l’altro ha ripreso anche molte delle immagini in giro in questi giorni, i militari americani erano vestiti con uniformi delle milizie curde. Un tentativo banale di camuffarsi (erano in realtà riconoscibilissimi): adesso girano invece con bandiere a stelle e strisce alte sopra i mezzi, e pare un modo per marcare presenza, fare deterrenza.

ANCHE RUSSI E SIRIANI A MANBIJ 

Non bastasse, a complicare la situazione sono arrivati a Manbij anche i governativi dietro a un convoglio umanitario. C’è stato anche un accordo tra il consiglio militare di Manbij (acronimo inglese MMC) e i russi per demarcare una linea di controllo e evitare problemi con i turchi: apparentemente non c’è stata cessione di territorio, ma nei giorni passati erano girate indiscrezioni sul fatto che il consiglio avesse accettato di cedere qualche villaggio passandone il controllo ai governativi per evitare che finisse nelle mani delle forze turche. Ci sono altre foto emblematiche: in una di queste un soldato toglie dal tetto di una casa la bandiera del consiglio militare locale e la sostituisce con quella russa; è “emblematica” pensando che la bandiera dell’MMC avevano contribuito a piazzarla lassù gli americani. Altro aspetto: russi e siriani a Manbij significa che le bocche di fuoco governative siriane sono arrivate a una sessantina di chilometri da una base clandestina (ma non troppo) che gli americani hanno costruito al nord della Siria, vicino un villaggio che si chiama Sarrin, in cui hanno piazzato elicotteri e mezzi di supporto per le forze speciali che aiutano le Sdf.

PALMIRA, I RUSSI E GLI AMERICANI

Il terzo fronte di arretramento dell’IS, sempre in Siria, è Palmira. I baghdadisti hanno perso nuovamente il controllo della città, diventata un simbolo della lotta russa allo Stato islamico (simbolo anche perché è l’unico fronte in cui i russi sono impegnati attivamente). La scorsa settimana le forze speciali inviate da Mosca, col sostegno di qualche milizia sciita, hanno riconquistato la città. A questa campagna hanno contribuito in modo indiretto anche gli Stati Uniti, come segnalato da Daniele Raineri del Foglio e da Hassan Hassan su The National: gli aerei americani hanno martellato le postazioni baghdadiste vicino Palmira. Per quanto noto non c’è comunque un coordinamento tra i due eserciti.


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