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I capi militari di Stati Uniti, Russia e Turchia si sono incontrati per parlare di Siria

Il capo delle Forze armate americane Joseph Dunford ha incontrato lunedì le controparti russa e turca in un vertice ad Antalya, città costiera della Turchia meridionale. Presenti gli omologhi Valery Gerasimov e il padrone di casa Hulusi Hakar. L’incontro ha potenzialmente un valore strategico, potremmo parlarne in proiezione della futura risoluzione della crisi siriana, ma soprattutto ha un importante scopo legato alle contingenze.

LA CRISI A MANBIJ

I combattenti sponsorizzati dalle tre potenze stanno infatti convergendo nei pressi di villaggio del nord siriano sulla fascia sinistra dell’Eufrate (in senso di scorrimento) che si chiama Manbij. E il rischio di un’escalation è concreto (o forse meglio, era). I russi sono saliti da sud a sostegno delle forze governative, i turchi arrivati da occidente nell’ambito dell’operazione anti-IS e anti-curdi Scudo, gli americani sono tornati sul posto per mostrare bandiera (vengono da oriente, dove sono impegnati nel sostegno ai curdi siriani che stanno accerchiando Raqqa, roccaforte del Califfato).

TRE FAZIONI CHE SI DETESTANO

Le fazioni appoggiate da Mosca, Ankara e Washington, se non fosse per il controllo esterno dall’alto, avrebbero volentieri aperto il fuoco reciprocamente, tanto si detestano. Però i turchi sono in una fase collaborativa con i russi, per questo i due gruppi qualche settimana fa si sono mossi insieme su Al Bab, città un po’ più a ovest di Manbij; mentre i curdi siriani, che hanno obiettivi simili agli altri, ma interessi molto diversi, sono tenuti a freno dal peso diplomatico statunitense.

A TIRO DI UNA BOMBA A MANO

La nota del Pentagono a proposito dell’incontro ha definito la zona “un campo di combattimento affollato” e ha sottolineato come questo coordinamento di alto livello si fosse reso necessario per aumentare le comunicazioni tra le parti. Stephen Townsend, il comandante americano che coordina l’operazione Inherent Resolve (come Washington chiama la guerra al Califfo), il primo marzo ha detto ai giornalisti del Pentagono che tutte le forze sul campo al nord della Siria sono arrivate a trovarsi “a portata di una bomba a mano”.

IN MEZZO A TUTTO, L’IS

Una situazione dove “la probabilità di errori si moltiplica”, anche perché in mezzo a questa contrapposizione di forze c’è lo Stato islamico, che formalmente dovrebbe essere l’obiettivo comune, ma siccome ognuno persevera sui propri interessi (la Turchia vuole bloccare i curdi, che vogliono guadagnare terreno per creare uno stato indipendente, su cui Damasco ha espresso parere negativo) al momento è difficile trovare la quadra per un coordinamento. La scorsa settimana aerei governativi siriani hanno colpito per errore, sembra, alcune postazioni delle Syrian Democratic Forces, le milizie curdo-arabe amiche degli americani, pensando che fossero combattenti dello Stato islamico; invece il villaggio dove è avvenuto il bombardamento era appena stato liberato.

IL SECONDO VERTICE IN POCHI GIORNI

Il 16 febbraio Dunford e Gerasimov si erano incontrati a Baku, in Azerbaijan. In quell’occasione Frank McKenzie, il generale che segue le policy del Joint Staff (lo stato maggiore congiunto della Difesa), aveva sottolineato che l’incontro azero era stato il primo tra i due capi militari, che finora si erano solo sentiti al telefono. Era stato anche l’unico degli ultimi tre anni in realtà, perché l’ultima volta che Gerasimov si incontrò con un omologo americano fu nel gennaio del 2014, quando a Bruxelles si vide con il predecessore di Dunford, Martin Dempsey. Poi ci fu l’annessione della Crimea da parte di Mosca e l’interruzione dei rapporti. Ora, forse sarà il pragmatismo dell’amministrazione Trump (forse qualcos’altro), nel giro di tre settimane già ci sono stati due vertici del genere.


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