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I primi 50 giorni di Donald Trump

Sono passati cinquanta giorni da quando il presidente americano Donald Trump ha inaugurato il suo mandato. L’anniversario, oggi 11 marzo (l’Inauguration Day è stato venerdì 20 gennaio), si porta dietro una considerazione qualitativa: sembra ne siano passati almeno dieci volte tanto.

ABBIAMO MANTENUTO SUBITO LE PROMESSE

Tante sono le cose successe. A cominciare dalla fase iperattiva avuta fin dalle prime ore nello Studio Ovale, in cui Trump ha emesso una fitta serie di ordine esecutivi in linea con le promesse della campagna elettorale. Questa spinta più o meno è già esaurita davanti alla complessità delle dinamiche di governo, anche se la Casa Bianca ha fatto ruotare molto del suo comunicato sui Trump’s 50 Days attorno al concetto “abbiamo mantenuto le promesse” e lo abbiamo fatto subito. Ora però entra nel mercato della legislazione, ha detto John Dickerson della CBS: esempio, quello che sta succedendo con l’Obamacare (è impossibile modificare il sistema sanitario nazionale senza i passaggi congressuali, le legislazioni, le mediazioni politiche).

TRUMP A BOMBA

Nel corso di queste prime settimane Trump ha litigato con i media (rimasti ancora l’obiettivo preferito degli attacchi) ma ha anche avuto un periodo di commenti favorevoli (dopo aver tenuto al Congresso un discorso più misurato del solito), ha avuto tensioni con vari paesi stranieri (Messico, Australia, Germania, Iraq, Yemen, Iran), ha scombussolato i rapporti economici interni ed esterni (con effetti anche positivi), ha fronteggiato una minaccia nucleare (quella complessa da risolvere della Corea del Nord), ha avuto un colpo profondo con una storia da impeachment che ha portato alle dimissioni di una delle figure più importante della Casa Bianca (i link con la Russia e l’addio di Michael Flynn), e altro. Quello che una normale presidenza vive in un anno mezzo, almeno, con Trump scorre velocissimo, seguito in modo isterico, e forse tutto questo sovverte il concetto di normalità. Brian Stelter della CNN nella sua newsletter Reliable Source ricorda che ai giornalisti piacciono numeri e anniversari, e per questo la cosa dei 50-Days va presa anche dal punto di vista quantitativo. Numeri allora.

LE DICHIARAZIONI FALSE O ALTERATE

Glenn Kessler del fact-checking del Washington Post dice che la sua redazione ha contato almeno 219 dichiarazioni false o alterare uscite in questi giorni dalla bocca di Trump (o del suo staff). Si ricorderà la partenza col botto, con Kellyanne Conway che in diretta alla NBC disse che la Casa Bianca ha possibilità di fornire “fatti alternativi”: il punto su cui ruotava il discorso era che all’inaugurazione di Barack Obama c’era più gente (per quel che conta, ma si sa che Trump è un tipo un po’ permaloso), ma la Casa Bianca diceva invece che il 20 gennaio di quest’anno c’era stato un afflusso record alla cerimonia trumpiana. Però non mentiva, forniva fatti alternativi. Ossia, le proprie verità, narrazione, come quando qualche giorno fa Trump parlò di un attentato in Svezia mai avvenuto.

TWITTER DI GOVERNO

La narrazione di The Donald ha un bacino di coltura: Twitter, sempre col suo account privato. La NBC conta 260 tweet da quando è ufficialmente diventato presidente, “una media di 36 a settimana”. Non sono messaggi di forma tipo “bellissima giornata tra i lavoratori della Boeing” ma 140-caratteri che talvolta prendono un valore incendiario. Trump ha usato Twitter per minacciare le aziende americane che decentralizzavano o avevano in programma di farlo, o per colpire il più importante programma militare del Pentagono in questo momento (gli F-35, che ritiene troppo costosi), o ancora per minacciare il Messico, insultare i media, attaccare le Intelligence che indagano sui link con la Russia dietro di lui, bombardare i giudici che hanno bloccato il primo ordine esecutivo sull’immigrazione, accusare pesantemente Obama di aver tramato una cospirazione contro di lui (lo ha usato anche per prendersela con Arnold Schwarzenegger che lo ha sostituito come conduttore al reality “The Apprentice” senza troppo successo).

MAGA, CONTRO I MEDIA

Una linea ferma tenuta da Trump sia su Twitter che altrove, è quella contro i media. Altri numeri: un sondaggio di USA Today fatto insieme alla Suffolk University dice che il 34 per cento degli americani è con lui, i media sono “nemici del popolo”. Anche questo genere di background ha permesso la vittoria di Trump: persone arrabbiate, che non si fidano di qualsiasi istituzione componga il sistema stato attuale — media in cima alla lista. Sempre sul sondaggio: il 55 per cento dei cittadini americani crede che l’economia “stia riprendendo”, anche se Obama aveva lasciato una situazione non pessima, ma sul disastro di Obama e sulla rinascita (MAGA, Make America Great Again dice il principale slogan trumpista) Trump fa ruotare la sua narrativa; per capirlo basta aprire il suo profilo Twitter, appunto. Però, sempre continuando a parlare di numeri, ci sono segnali a suo supporto (anche se ci sarà da capire bene il peso del suo ruolo). A febbraio le aziende Usa hanno creato 235mila posti di lavoro, un dato superiore alle aspettative degli analisti che attendevano un aumento di 197.000 unità. Nello stesso periodo la disoccupazione è scesa dal 4,8% al 4,7%.

I PROSSIMI 50 GIORNI

Come può essere il futuro partendo da questi primi 50 giorni? Greg Krieg della CNN risponde con una considerazione: finora Trump ha portato avanti “un attacco ininterrotto alle norme istituzionali” e alle regole che “ci hanno governato per la parte migliore di un secolo”. Vedremo fin dove arriva questo piano. Altri numeri? Jeff Sessions ha chiesto le dimissioni di 46 procuratori generali assunti in ufficio dall’amministrazione Obama. Il dipartimento di Giustizia dice che si tratta di una necessità per “uniformare la transizione” dopo che altrettanti si erano dimessi spontaneamente all’arrivo del nuovo segretario.


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