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Ecco come e perché l’Fbi sfruculia Donald Trump sui rapporti con i russi

trump

Lunedì il capo dell’Fbi James Comey ha parlato in audizione davanti alla Commissione Intelligence della Camera e ha detto per la prima volta pubblicamente che il Bureau sta indagando su possibili legami tra gli uomini di Donald Trump e la Russia.

Comey ha spiegato che è in corso un’indagine sulle interferenze russe durante la campagne elettorale – e questo è noto e ufficiale, fin da luglio del 2016. L’indagine riguarda le azioni hacker con cui sono stati sottratti documenti a personaggi e server del Partito democratico. Documenti da cui poi sono state costruite decine di notizie false e infamanti una volta che WikiLeaks li ha diffusi. L’idea di Mosca era palesemente, secondo le intelligence americane, sfavorire Hillary Clinton, la candidate democratica – e dunque, automaticamente, facilitare la vittoria di Trump. Washington il 29 dicembre del 2016 alzò sanzioni contro la Russia per punire queste azioni.

Comey ha però aggiunto il pezzo successivo della storia: ha detto che l’Fbi sta indagando se questo piano russo ha avuto o meno la collaborazione dello staff di Trump, e dunque ha chiarito che le indagini sui collegamenti tra alcuni elementi del team che ha sostenuto il candidato repubblicano e la Russia hanno cercare eventuali prove come obiettivo. Perché, ovviamente, un conto è se Trump è stato beneficiario passivo delle interferenze russe (che hanno “indebolito” la democrazia americana dice Comey), tutt’altro è se dietro di lui c’è stato un progetto condiviso per ottenere la vittoria. L’indagine “include l’analisi della natura di qualsiasi legame tra persone associate alla campagna di Trump e governo russo, e se ci sia stato o meno coordinamento tra la campagna e gli sforzi russi”, ha detto il direttore dell’Fbi, che è l’agenzia che si occupa di controspionaggio. Normalmente non vengono confermate inchieste così sensibili, ma è stato il dipartimento di Giustizia a permettere a Comey di parlare pubblicamente davanti alle telecamere presenti in aula.

Insieme ha parlato anche l’ammiraglio Mike Rogers, che è il capo dell’Nsa, l’agenzia che si occupa di Sigint (Signal Intelligence) negli Stati Uniti. Rogers ha detto sostanzialmente le stesse cose di Comey. Per entrambi il link tra hacker russi che hanno sottratto quei file e WikiLeaks che li ha pubblicati è tracciato, c’è stato un intermediario che ha consegnato i documenti all’organizzazione di Julian Assange. È stato Roger Stone? A questa specifica domanda Comey non ha risposto. Stone, stratega repubblicano, amico personale di Trump e suo collaboratore in campagna, fu colui che anticipò pubblicamente su Twitter le rivelazioni di WikiLeaks sui democratici, e dunque se non è stato il tramite quanto meno è persona informata sui fatti. Entrambi i direttori ritengono che invece la Russia non sia riuscita a truccare i risultati elettorali (si tratta di sospetti che da tempo circolano a proposito di altre azioni hacker che potrebbero aver avuto come oggetto i sistemi di voto elettronico); è un’altra dichiarazione importante, che mette fine a un filone. Dunque: secondo i due leader dell’intelligence la Russia non ha interferito direttamente sul voto, ma ha messo in piedi uno schema che potesse creare i presupposti per favorire Trump (lo schema è stato efficace: molte delle storie create dalle informazioni hackerate sono state ritenute credibili, anche se in molti casi forzatamente artefatte, dagli elettori, per i quali il principale dei difetti di Clinton era la mancanza di trasparenza: e dunque, se il problema è che gli elettori non avevano già fiducia in lei, più facile è stato diffondere storie su questioni torbide che proprio sull’affidabilità andavano a mirare).

Nella serata di lunedì, anche il presidente americano è passato sull’argomento. Per farlo ha usato l’account Twitter ufficiale @Potus: “Il direttore dell’FBI Comey si rifiuta di negare che ha parlato con il presidente Obama delle telefonate fatte da Michael Flynn alla Russia”. Il significato di questo tweet non è chiaro, forse voleva tornare sul presunto complotto contro di lui, sebbene anche quello è stato smentito da Comey, che ha dichiarato che non ci sono informazioni di nessun genere a proposito di intercettazioni o cospirazioni contro Trump, riprendendo l’accusa alzata da Trump stesso (sempre su Twitter, ma dall’account personale) due settimane fa, secondo cui Barack Obama lo avrebbe fatto spiare durante la campagna elettorale. Nonostante le smentite dell’Fbi, le accuse restano in piedi, ha spiegato successivamente il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer in conferenza stampa.

In un altro tweet Trump ha scritto che l’FBI e la NSA hanno negato che la Russia abbia interferito con le elezioni americane. Questa affermazione è palesemente falsa, oppure il presidente non ha capito quello che hanno detto Comey e Rogers.

Prima il presidente aveva preso in mano il suo account personale, dal quale aveva attaccato i Democratici (la storia della Russia è un modo per mascherare la sconfitta), aveva detto che anche il comitato elettorale di Clinton ha avuto contatti con la Russia, aveva lanciato accuse contro la CNN (e lodato Fox, rete amica, che secondo Trump fa più ascolti perché non diffonde fake news su di lui), e detto che l’ex direttore della National Intelligence James Clapper sostiene che non ci sono prove sulle relazioni tra Trump e la Russia. Su questo: Clapper ha usato parole moderate per descrive la situazione, e Comey stesso ha detto che l’ex Dni aveva ragione, ma che “ancora l’indagine era in corso”.

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