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Come putineggia il Movimento 5 Stelle nel programma per l’Europa

Luigi Di Maio

Vista la contraccambiata simpatia, non poteva mancare certo la Russia nel libro sull’Europa scritto dal MoVimento 5 Stelle in vista della cerimonia per i 60 anni dei Trattati di Roma in programma nella città eterna sabato prossimo (qui l’approfondimento di Formiche.net sulle misure anti-terrorismo studiate dal Viminale). Il documento – che delinea il posizionamento dei pentastellati su un tema cruciale come il futuro dell’integrazione europea – è stato presentato oggi all’associazione della Stampa estera dal vicepresidente della Camera e candidato in pectore alla presidenza del Consiglio Luigi Di Maio, insieme ai deputati Riccardo Fraccaro e Sergio Battelli, alla senatrice Michela Montevecchi e alle euro-parlamentari Rosa D’Amato e Laura Agea.

LE SANZIONI DA ELIMINARE

Nel paper il movimento fondato da Beppe Grillo ha messo nero su bianco l’obiettivo di stabilizzare i rapporti con Vladimir Putin: “Rimozione immediata delle sanzioni alla Russia, che provocano perdite ingenti all’economia degli Stati membri e in particolare alle piccole e medie imprese“. Non l’unico riferimento esplicito al Cremlino, a proposito del quale si parla, inoltre, nella parte del documento relativa al budget europeo. Tra le misure che i pentastellati chiedono di attuare compare, infatti, anche “l’abolizione dei finanziamenti destinati alla propaganda Ue“, di cui – secondo i cinquestelle – fanno parte le attività volte a sostenere “la moneta unica” o quelle dirette a screditare “la Russia”. Nonostante si moltiplichino da Mosca attacchi diretti o indiretti contro Bruxelles.

I RAPPORTI CON TURCHIA E LIBIA

Ad avviso del movimento, dovrebbero essere riviste in blocco anche le relazioni in corso tra Europa e Turchia: “Cancellazione integrale dell’accordo sui migranti firmato con Erdogan“. Un Paese verso il quale il giudizio pentastellato è durissimo: “Viola i diritti umani e anche gli accordi commerciali“. Eppure, utilizzato dall’Unione europea per cercare di tamponare l’emergenza migranti a suon di miliardi di euro. In questo contesto si inserisce anche la strategia che sta portando avanti l’Italia in Libia: qualche giorno fa Paolo Gentiloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il primo ministro libico Fayez al-Sarraj.”Ma è un governo fantasma, non legittimato dai cittadini“, ha tagliato corto Di Maio, per il quale la strada per la pacificazione di Tripoli è necessario che passi dall’impegno di Paesi terzi privi di specifici interessi economici in Libia: “Noi siamo poco credibili visto che lì abbiamo il petrolio“.

L’EMERGENZA MIGRANTI

La Libia, però, rimane comunque un interlocutore privilegiato, anche perché è da quello Stato che parte il maggior numero di migranti alle volte delle coste italiane. “Non possiamo diventare il campo profughi d’Europa“, ha tuonato Batelli nel corso della conferenza stampa. Per impedirlo il MoVimento 5 Stelle propone una serie di soluzioni, a partire dalla revisione del Regolamento di Dublino e delle politiche d’asilo: “La redistribuzione in tutti gli Stati membri dei richiedenti asilo arrivati in Italia deve essere obbligatoria ed automatica: non bisogna aspettare che l’Italia – o altri Stati membri di frontiera – arrivino al collasso e si trovino in uno stato d’emergenza“. E per chi dovesse rifiutare di dare il suo contributo, dovrebbero essere introdotte sanzioni anche dure. In un’ottica di cooperazione internazionale, i pentastellati si sono schierati a favore dell’embargo sulle armi nei confronti degli Stati mediorientali e africani e contro eventuali operazioni di destabilizzazione. Inoltre, sì convinto alle “sanzioni per le multinazionali che violano i diritti umani nei Paesi terzi” e all’abolizione “di ogni forma di finanziamento diretto e indiretto ai produttori di armi“. La logica di fondo rimane sempre la stessa: creare le condizioni politiche, economiche e sociali affinché i migranti decidano di partire in percentuali assai minori di quelle attuali. “Si dovrebbe inoltre prevedere il rimpatrio per gli stranieri detenuti nelle nostre carceri in modo che scontino la pena nei loro Paesi d’origine“, ha commentato ancora Di Maio, che sulla questione ha lanciato un’accusa nettisima a Bruxelles: “La mancata distribuzione per quote dei migranti è il più grande fallimento dell’Unione europea: gli Stati membri non sono stati in grado di prevedere alcuna forma di solidarietà“.

I DISTINGUO SULLA DIFESA COMUNE

In linea di principio il movimento è favorevole, ma al rispetto di alcune precise condizioni. La prima e fondamentale è che l’eventuale esercito europeo abbia “come esclusiva finalità l’utilizzo in missioni di peacekeeping“, con la garanzia di non diventare “strumento di operazioni militari finalizzate al perseguimento di interessi economici e commerciali dell’Ue o dei suoi Stati membri“. Inoltre, il M5S chiede che le spese sostenute per la difesa unica europea non siano replicate a livello nazionale, in modo da “reinvestire i risparmi nel sociale“.

IL FUTURO DELL’EURO

I pentastellati hanno poi ufficializzato la loro posizione a proposito della moneta unica. “Se dovessimo andare al governo, proporremmo un referendum consultivo sull’euro“, ha dichiarato Di Maio. Che ha spiegato anche il meccanismo che dovrebbe portare all’indizione della consultazione: “La strada è quella di una legge costituzionale con cui prevedere l’istituzione del referendum“. Una soluzione da estendere a tutti gli Stati dell’Eurozona che – ad opinione del vicepresidente della Camera – consentirebbe di rafforzare la moneta unica: “Continuerebbero ad adottarla, finalmente su base volontaria, solo i Paesi realmente favorevoli“. Contestualmente Di Maio ha sottolineato la necessità di sottoporre a revisione i trattati, in modo da introdurre specifiche procedure attivabili dagli Stati che intendano eventualmente abbondare l’euro.

UN PIANO B PER L’ITALIA

Quanto alla tempistica di questo referendum sull’euro, Di Maio ha chiarito di voler portare avanti il progetto fin dall’inizio della prossima legislatura. Il primo provvedimento di un ipotetico governo a cinquestelle sarebbe però rappresentato – ha dichiarato – dal reddito di cittadinanza. Nel frattempo, da qui al 2018 – quando si svolgeranno le politiche in Italia – di acqua sotto i ponti è destinata comunque a scorrerne parecchia in Europa, a partire dalle presidenziali francesi del mese prossimo. Un appuntamento il cui esito potrebbe cambiare le sorti del Vecchio Continente, soprattutto nel caso di una vittoria di Marine Le Pen: “Il governo sta preparando un piano B sull’euro in vista del voto in Francia? Se dovessero prevalere le forze contrarie alla moneta unica, noi che cosa faremmo? Qual sarebbe, in quel caso, la nostra posizione?“.

L’EUROPA E LE BANCHE

Alcune indicazioni sono arrivate anche in tema di banche, a proposito delle quali il movimento di Grillo si è dichiarato a favore “di un moderno Glass-Steagall Act basato sulla separazione delle attività di credito tradizionali da attività finanziarie speculative“. D’altro canto, i pentastellati ambiscono anche a smantellare “la procedura di bail-in, volta a scaricare le perdite bancarie su risparmiatori e correntisti“. Contemporaneamente dovrebbe anche essere reso più incisivo il ruolo della Banca Centrale Europea, chiamata a fungere “da prestatore di ultima istanza“. Con la possibilità, peraltro, “se necessario e senza limitazioni predefenite” “di acquisire titoli di Stato dei Paesi in difficoltà in misura sufficiente ad evitare l’insostenibilità del debito o costi eccessivi di finanziamento“. A tal riguardo, Di Maio ha pure invitato l’istituto guidato da Mario Draghi a mettere in campo maggiori controlli sulle banche: “Quelle italiane sono andate male non solo per colpa dei management, ma anche a causa del clientelismo dei partiti“. E qui il leader dei cinquestelle ha fatto partire una staffilata in direzione Partito Democratico: “Il partito che ha controllato Mps ha avuto anche il presidente della Commissione europea“. E cioè l’ex premier Romano Prodi.

LA MODIFICA DEL FISCAL COMPACT

Tra le altre misure economiche Di Maio ha invocato infine la modifica dell’attuale articolo 81 della costituzione, già riformato nel 2012 ai tempi di Mario Monti dopo l’approvazione del Fiscal Compact per recepire l’obbligo del pareggio di bilancio: “E’ in contrasto con altre parti della stessa Costituzione. Anche la Consulta con alcune sentenze lo ha riconosciuto e ha affermato che si può non rispettare se si tratta di garantire servizi essenziali ai cittadini“.

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