“Nel giro di dieci anni faremo un salto tecnologico incomparabile rispetto a quello fatto in tutto il secolo scorso. La velocità con cui si sta evolvendo la tecnologia è impressionante: il problema per la società è proprio questo. Non abbiamo mai dovuto affrontare uno stravolgimento cosi repentino e massiccio. Lo shock più forte sarà nel mondo del lavoro. Avremo milioni di disoccupati in tutto il mondo perché ci saranno software e robot intelligenti molto più efficienti. Certo: ci saranno nuove esigenze, nuove competenze saranno richieste, ma un’intera generazione di lavoratori rischia di essere esclusa da un giorno all’altro perché non saranno più necessari e non potranno riadattarsi, nel giro di così poco tempo, per le nuove mansioni di cui ci sarà bisogno. Questo scenario non deve spaventarci, anzi: la sfida è trarne il meglio. Il prossimo decennio può riservarci un’altra drammatica crisi o una straordinaria opportunità in cui potremmo affrancarci dall’esigenza del lavoro per vivere. Tutto sta nel gestire questi anni di passaggio al meglio delle nostre capacità, con la massima generosità, per inventarci il futuro che vogliamo. Tasse sui robot, come propone Bill Gates? Reddito di cittadinanza universale, come suggerisce Elon Musk? Per dare una risposta a queste domande è necessario capire il futuro’’. Fin qui Davide Casaleggio dalle colonne del Corriere della Sera, il quale si accinge a mettersi in sintonia con il futuro della politica italiana. Casaleggio jr. dimostra così che le qualità profetiche sono ereditarie. Suo padre inventò la via informatica al socialismo, lui preconizza un salto tecnologico… nel buio. Ma in fondo al tunnel indica – bontà sua – anche alcune possibili soluzioni: la tassazione sui robot (in sostanza la penalizzazione degli investimenti innovativi) o un reddito di cittadinanza universale, le cui risorse cresceranno – immaginiamo – sugli alberi di un riscoperto Eden.
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Davide Casaleggio è troppo giovane per aver visto – sia pure in una cineteca – il film Metropolis, un capolavoro di Fritz Lang del 1925. Il grande regista rappresentava una società del futuro (probabilmente quella a noi contemporanea) caratterizzata da impianti industriali giganteschi, in cui lavorano migliaia di operai disperati e sottomessi, alienati da un fordismo dilagante (chi non ricorda la performance di Charlot alla catena di montaggio in Tempi Moderni) e vincolati ad una tecnologia impostata sulla meccanica. Ovviamente, Lang non era un indovino (e non avrebbe mai immaginato le trasformazioni derivanti dall’impiego del silicio); poteva inventarsi un futuro soltanto dilatando la tecnologia del suo tempo.
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A metà del XIX secolo gli economisti del tempo si posero il problema dei nuovi assetti delle città a seguito dei processi di urbanizzazione. E cominciarono a preoccuparsi del numero di cavalli e di carri che sarebbero occorsi e quindi del relativo stallaggio da assicurare nella costruzione degli edifici. Poi fu inventato il motore a scoppio; il suo impiego industriale di massa ha cambiato la faccia del mondo. I vetturini diventarono taxisti?
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Negli anni ’70 del secolo scorso quando il prezzo del petrolio si impennò in un lasso di tempo brevissimo destabilizzando il sistema dei costi di produzione di tutto il mondo sviluppato, fu teorizzato che si trattava di una risorsa ormai prossima ad esaurirsi. Addirittura si parlava di poche decine di anni. Poi la scoperta di nuovi giacimenti e di nuove tecniche di estrazione hanno cambiato quella funerea prospettiva e sollecitata la promozione di energie alternative.
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L’economista Irene Tinagli, deputata del Pd e prima firmataria di una bozza di risoluzione in Commissione Lavoro della Camera (tuttora in discussione) che contesta la visione catastrofista del progresso tecnologico, ha scritto in un saggio che “l’avvento dei computer e dell’information technology negli anni Settanta ha travolto migliaia di lavori impiegatizi: ragionieri, stenografi, segretarie, archivisti e documentaristi, e molti altri ancora. Eppure nei soli Stati Uniti – continua Tinagli – il settore dell’Information Technology che nel 1970 occupava quattrocentocinquanta mila lavoratori, trent’anni dopo ne impiegava quattro milioni e seicento mila, vedendo fiorire al proprio interno una dozzina di figure professionali diverse rispetto al semplice programmatore che esisteva negli anni ‘70. Lasciarsi andare al catastrofismo – ha aggiunto – non è il modo migliore per impiegare il nostro tempo. La questione da affrontare oggi, invece, è come prepararci alla transizione e come far sì che le innovazioni da minaccia possano diventare una opportunità, agevolando la creazione di nuovo lavoro e rendere meno dolorosa la transizione”.
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C’è poi l’aspetto demografico. Sempre nella bozza di risoluzione citata troviamo scritto che: “Le stime dell’organizzazione internazionale per il lavoro (ILO) indicano che la forza lavoro globale nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni si sta contraendo di 4 milioni di unità ogni anno; e secondo alcuni economisti la contrazione dell’offerta di manodopera sarà superiore alla contrazione della domanda, dando luogo a delle labor shortages che saranno sempre più significative. Di fatto, già oggi numerosi settori stanno denunciando difficoltà a reperire manodopera, soprattutto quella più specializzata e qualificata: nel 2014 le richieste di lavoratori con competenze matematiche ed informatiche negli Stati Uniti sono state 5 volte superiori alla disponibilità di lavoratori disoccupati con quelle caratteristiche”.